Massalubrense,  Sorrento

A proposito dell’anno e del convegno dedicato al “turismo delle origini”

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di Luigi Poi

Nell’anno dedicato al “Turismo delle origini” (ci sarà anche un convegno a Sorrento da Venerdì) non sarebbe meglio chiedersi: COSA SUCCEDE QUANDO L’UOMO “MODERNO” SMARRISCE IL LEGAME D’APPARTENENZA ALLA TERRA NATIA? COME CONIUGARE TURISMO CON RADICI, CULTURA ED ORIGINI DI UNA COMUNITA’? Invece di pensare ad intercettare nuovi flussi turistici! SOPRAVVIVERANNO I SORRENTINI DOC A NUOVE ONDATE DI ARRIVI? E COME ARRIVERANNO? CON I TRENI DELLA CIRCUMVESUVIANA O SORVOLANDO LA DISTESA DI LAMIERE DI AUTO E BUS?

La tragica realtà della Circumvesuviana, gli ingorghi stradali dalle gallerie a Sorrento, l’overturismo, la perdita di negozi ed attività della tradizione, la movida selvaggia, l’esodo di tanta gioventù, la mancanza di abitazioni per i residenti, l’impoverimento demografico, la scomparsa di antichi mestieri, l’impermeabilizzazione di altro suolo boschivo ed agricolo sembrano fenomeni ingovernabili, almeno per le attuali amministrazioni regionale, metropolitane e comunali. Tanto che non sono da cestinare gli allarmi che provengono da più parti, soprattutto da associazioni culturali e della società civile. Lo sradicamento dalla radici del nostro passato ed il totale asservimento al profitto del “mordi e fuggi“ alla distanza faranno danni irreversibili. Recuperare la memoria del passato, la storia delle nostre origini ed il lungo percorso del popolamento della Penisola Sorrentina, sembra opportuno e benefico anche perché aiuta, non poco, la consapevolezza che i beni culturali e le tracce del passato sono da proteggere, custodire e valorizzare. Indubbio e grave errore dimenticare che “Questa regione (Sorrento e la sua penisola) ha in sé raccolte tutte le bellezze della natura” Galanti 1794, ma anche che già oggi “tutti i centri della penisola evidenziano un grave problema di contenimento dell’eccessiva crescita edilizia che ha deturpato uno dei paesaggi più celebrati al mondo” (Cesare De Seta ).

Soprattutto dovremmo continuare a ricercare, conservare e propagandare il patrimonio di scritti e resoconti storici che ci riguardano ed impegnarci a difendere edifici e tracce dell’ ammirato passato. Non è, dunque, un mero esercizio retorico conoscere e divulgare i beni culturali ed ambientali perché essi costituiscono risorse uniche e non rimpiazzabili. E non è nemmeno una fuga dalla realtà e dai problemi quotidiani, anzi! Se c’è qualcosa di cui dobbiamo essere fieri ed orgogliosi questa è sicuramente il patrimonio culturale e paesaggistico che abbiamo avuto la buona sorte di ereditare in tanti secoli di storia. Un libro dei sogni? Forse, ma bisogna tentare: la cittadinanza della Penisola Sorrentina sta incominciando a dar segni di fastidio di fronte allo strapotere del cemento e del turismo senza freni e rispetto.

Quindi proporre ricostruzione e ricordi di secoli di storia, cultura e tradizioni dovrebbe interessare non solo chi è appassionato di memorie, rappresentazioni e narrativa di Storia Patria, ma dovrebbe essere seducente e civicamente impegnativo per tutta la comunità o per lo meno di quella parte di essa che conosce la propria identità storica ed è orgogliosa delle proprie radici. Diventa, così, utile proporre la lettura di ulteriori notizie e di fresca documentazione contenuta in recenti pubblicazioni a cura di esperti archeologici e professori universitari con poca puzza sotto il naso: Ubi maior minor cessat! Piuttosto non essendo possibile sintetizzare eccessivamente si chiede pazienza al lettore per la lunghezza del testo.

In particolare pare opportuno cercare di ripercorrere il percorso della “civiltà“ della Terra delle Sirene andando indietro fino alla tracce accertate di comunità antropizzate, presenti ed attive già nel primo millennio a.C. L’area della attuale Penisola Sorrentina che tradizionalmente, grazie al mito di Atena-Minerva e delle Sirene, è stata semplicisticamente e sbrigativamente sempre attribuita ai Greci ed ai Romani ha, invece, una tipologia insediativa molto più antica. Oggi, in seguito ai recenti ritrovamenti di luoghi abitati già alcuni secoli prima dell’arrivo di coloni greci, alcuni qualificati archeologi si sono arrischiati a parlare del popolo dei Sarrasti o Sarrastri (dal fiume Sarno, << Sarrastes populos et quae rigat acquora Sarnus >> Virgilio nel VII libro dell’Eneide. Oppure l’altra versione : tribù di cacciatori, pescatori ed agricoltori di etnia Pelasgica che in età del bronzo emigrarono dal Peloponneso dove sorgeva il fiume Saron ); tanto dopo la scoperta degli insediamenti fluviali nei pressi di Poggiomarino, in località Longola. Una comunità costituitasi grazie alla possibilità del traffico fluviale (navigabilità del Sarno). Si tratta di esplorazioni e di lavoro fortemente professionali a cui hanno partecipato non soltanto il meglio dell’archeologia italiana ma anche la Deutsches Archàologisches Institut su progetto della Soprintendenza di Pompei e di quella di Salerno. La posizione strategica dell’allora non inquinato fiume Sarno “costituiva una importante infrastruttura di trasporto di merci e persone“ e apriva per l’entroterra campano la possibilità di accedere al porto di Pompei. Successivamente con l’arrivo degli Etruschi a Volturum (Santa Maria Capua Vetere), siamo più o meno tra l’VIII ed il VII secolo a.C., “alcuni studiosi odierni (cifr.C.Albore Livadie, E.Castaldo, N.Castaldo, B.Cesarano, D.Citro) hanno sostenuto l’ipotesi che solo nel VI secolo a.C. tutta l’area in discorso “ acquisì una connotazione di vera e propria città, quando gli Etruschi unirono in un unico centro i villaggi villanoviani sparsi sul territorio circostante.

Arrivarono fino alla nostra penisola? Certamente percorrendo il breve tratto di mare tra Pompei e Sorrento o, come sostiene la Albore Livadie, attraverso un percorso collinare mescolandosi con la popolazione indigena e con quella degli Osci allora predominante fino a punta Campanella come dimostrato dalla epigrafe rupestre in lingua osca ritrovata dall’indimenticabile professore Mario Russo e l’iscrizione di Porta Stabia. “Il villaggio abitato dai Sarrasti potrebbe essere stato l’antesignano di Pompei poiché , dopo il suo abbandono, la popolazione si sarebbe diretta verso l’area vesuviana, ma potrebbe aver aggiunto, in parte, anche la penisola sorrentina”. I ritrovamenti confermano della esistenza e convivenza di popolazione mista di Italici, Osci e Sanniti, Etruschi e Greci Tanto troverebbe conferma nei reperti tombali del VII sec. a.C. tra i quali è evidente una maggiore presenza di buccheri e vasi di bronzo di diversa tradizione ed anche importati e dalle immagini del simposio di convitati di diversa etnia rappresentati sulla celebre Tomba del Tuffatore di Paestum.
Discordanti risultano a tutt’oggi le ipotesi avanzate dagli studiosi circa l’epoca esatta e la provenienza delle genti che fondarono Sorrento. La storia urbana antica è riconoscibile su dati archeologici e, in parte, sulle fonti antiche, anche se spesso frammentarie e di difficile interpretazione e non sempre affidabili”. Antonio Bertini, Sorrento ieri, oggi , domani. Edizioni CNR, 2022 – L’archeologo tedesco e professore universitario di Antichità a Roma, Beloch, si era sbilanciato insistendo sulle origine greche della cittadina. Ma chiaramente le esplorazioni successive ed i relativi studi ed approfondimenti hanno smontato questa tesi (Senatore, Adinolfi, Rescigno, Russo ed altri). Soprattutto individuando la reale concretezza di itinerari e passaggi via terra dal versante vesuviano.

“A tal riguardo due sono le ipotesi che si propongono per spiegare l’arcano: la prima è quella che gli Osci non ritenevano molto sicuro il costone tufaceo prospettante sul mare, la seconda parte dalla considerazione che, probabilmente, la griglia di strade urbane sia stata costruita partendo dal tratto stradale che attraversava l’area e che conduceva al tempio di Atena”. A. Bertini, Idem.
Del resto basta il buon senso per capire che tre cose favorivano gli antichi insediamenti umani: fertilità del terreno, presenza di sorgenti e di fonti di acqua e sicurezza. E a tal proposito (sicurezza) sappiamo bene che le “vie del mare“ non erano affatto sicure né facili da proteggere e che la serena convivenza spesso era alterata dai “principi“ e pirati Etruschi tanto che i Greci di Cuma dovettero chiedere alleanza ai cugini Siracusani per annientare definitivamente la flotta avversaria nel 474 a.C.

Passando, così, alla civiltà greca molte notizie certe si stanno ricavando dalle esplorazione delle necropoli e dalla tipologia dei reperti lì venuti alla luce su cui si sono impegnati e si stanno impegnando i nostri archeologi. Parte di queste informazioni sono state pubblicate dallo storico e resistente “giornalin “ cartaceo, Sireon, curato e custodito con passione dai perseveranti ed ammirevoli professore Denaro Liborio, Giovanni Petagna della omonima antica tipografiae e il giornalista Gaetano Milone.

“Spostandoci vero l’estremità della Penisola (sorrentina), a Sant’Agata sui due Golfi, sono continuati gli scavi nella necropoli posta sulla pendice della collina in località Vadabillo, un lembo del sepolcreto esplorato nel 1837 e poi nel 1840 dal Fiorelli, e da ultimo dalla nostra Soprintendenza negli anni 1983-1984. La tipologia delle sepolture è oramai costante, generalmente con un sarcofago monolitico di tufo e corredo interno ed esterno e talvolta con cippi aniconici a far da “sema” per alcune sepolture di spicco; una sola tomba delle 37 recuperate era a fossa ed apparteneva alla prima fase della necropoli, risalente alla fine del VII secolo: I corredi sono costituiti prevalentemente da impasto associato a bucchero e poca ceramica in argilla figulina decorata a bande, soprattutto “Oinochoai“ e  “Olpai“. Rari sono i vasi di importazione fatta eccezione delle coppe ioniche del tipo B” , ed una eccezione tarda una “Kylix“ a figure nere del gruppo Haimon nella tomba 36.
Pagg.598-599 – Stefano De Caro- La Campania- Eredità della Magna Grecia – Atti del trentacinquesimo convegno di Studi sulla Magna Grecia- Taranto 6-10 ottobre 1995. Arte tipografica – Napoli 1998
“La necropoli si estendeva sul naturale declino della collina, disposta in gruppi sparsi di tombe, con raggruppamenti per nuclei familiari associando adulti, bambini e neonati. L’arco cronologico finora attestato va dalla metà del VII agli inizi del V secolo a.C. I defunti venivano inumati con tombe a cassa con una sola eccezione in fossa “terragna“. La tipologia dei cippi aniconici in materiale tufaceo è di notevole fattura.”Cfr. Enrico Imperati- Tesi di laurea con relatore il prof. Matteo D’Acunto (2021).

N.b.
Vadabillo: Località a valle dell’eremo “Il Deserto” sul versante che guarda Sorrento. Non si conoscono approfondimenti sulla etimologia, alcuni hanno ritenuto che abbia origine da “Vada ab illus (o ab illo)“: allontanati da quello; altri ritenendo fondata la versione borbonica del termine “varabillo“ traducendo non si soni allontanati molto: vara ab illus, stai lontano da quello.
Oinochoai : vaso a pancia larga utilizzato per versare vino o acqua.
Olpai : brocca di origine Attica di solito con manico e collo allungato.
Kylix : coppa per libagione con piede sottile .
Argilla figulina: ceramica di colore giallastro amalgamata e ripulita da detriti.
Aniconici : a forma di pigna.
Sema : segno.
Haimon : tecnica pittorica da “ Haimon “ ceramografo greco che utilizzava rappresentazioni a figure nere.
Fiorelli : Giuseppe Fiorelli , Napoli 1823-1896. Archeologo e numismatico, considerato l’inventore della tecnica dei calchi con la quale i cadaveri carbonizzati dei Pompeiani non furono distrutti e potettero essere conservati . Protetto da Leopoldo Borbone ricoprì molti incarichi durante il Regno di Napoli. Successivamente anche con l’unità d’Italia fu direttore degli scavi archeologici di Pompei e fondatore del Museo Nazionale di San Martino. Tra il 1863 ed il 1875 riorganizzò le collezione del Museo Archeologico di Napoli e fece redigere l’inventario generale dei reperti custoditi . Provvide ad effettuare alcuni fortunati scavi alle falde della collina del Deserto in Sant’Agata sui due Golfi . Ritrovamenti che secondo alcuni finirono nella collezione Santangelo e poi all’attuale MANN. A questo riguardo le dott.sse Vittoria Minniti e Serena Venditto della Biblioteca del Museo archeologico Nazionale di Napoli ci hanno gentilmente informato che non ci sono conferme che tale collezione contenesse anche i reperti rinvenuti dal Fiorelli.
Terragna : inumazione in cui il defunto è sepolto nella nuda terra.

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La presenza di una così importante necropoli, non unica in quella area, fortifica la tesi della presenza del famoso ”SANTUARIO“ Greco – Etrusco dedicato alle Sirene.
“Alocis Surrento vicinis cubito similis quidam terrae flexus excurrit, versus fretum, quod est iuxta Capreas: Ab une huius iugi latere est to “Sirenusas“, Sirenum templum. Ad altero, quod Posidionatem sinum prospectat, tres exiguae sunt insulae desertae atque saxosae, quas Sirenusas vocant”. -Da Ac cademic Hofmann J.Lexicon Universale –“ Sirenussarum promontorium “ N.L. –Vedi traduzione punto “A “.
A tal proposito, oltre le fonti già comunemente conosciute, per il cultori della materia potrebbe risultare interessante una attenta lettura delle pagine da n.45 a 52 dell’opera di Rosario Mangoni “Ricerche storiche sull’isola di Capri”- Colle notizie più rilevanti sulla vicina regione del Cratere – Parte Prima- Napoli, Dai torchi di Gennaro Palma 1834 – “Questo tempio lasciò ancora il nome a quel luogo; e noi leggiamo le denominazioni di Sireon e di Sirenuse date nell’antichità a questo estremo ramo. Quindi presso gli scrittori greci trovasi questo promontorio denominato “Ateneo “ dal tempio di Minerva, poiché egli vi aveva quivi “Atenas ieron“; come del tempio delle Sirene e dalle isole Sirenuse propinque al promontorio stesso lo dissero quelli “Sireion“ ed ancora “Prenusso“ (B) ; “conciosiachè “ si erano desse giusta la credenza degli antichi il soggiorno delle Sirene”. “ Erano questi i due famosi templi che per la loro antichità e “nominanza“ sono tanto celebrati dagli scrittori antichi“.

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(A) – traduzione –
– Nelle vicinanze di Sorrento, una certa curva di terra corre verso la riva, che è vicina a Capri. Su un lato di questo crinale si trova il luogo sacro dalle Sirene, il tempio delle Sirene. Dall’altra parte che affaccia sul golfo di Posidonia (Salerno) si trovano tre piccole isole deserte e sassose che vengono definite “Le Sirenuse “ ( Gli isolotti dei Galli )“.

(B) – Prenusso : “ l’etimologia del quale vocabolo, tuttochè (nonostante) sia stato soggetto di molte questioni fra gli eruditi, non crediamo necessario ravvolgerci tra le varie congetture dei filologi; ma opiniamo piuttosto colla maggior parte degli interpreti, d’essere stato tal vocabolo viziato dagli antichi copisti, e che invece debba leggersi Sirenussum, che risponde all’altra denominazione poc’anzi rapportata di Sireo o Sirenuse “. – Rosario Mangoni (XIX secolo) – Nacque da famiglia nobile di origini germaniche giunta in Calabria nel V secolo, fu storico ed archeologo.

Si riporta anche la corrispondenza con la direzione della Biblioteca del MANN, in particolare le informazioni cortesemente forniteci dalle due citate funzionarie Vittoria Minniti e Serena Venditto (altro esempio di lungimirante disponibilità e democratica apertura della burocrazia culturale) : “erano due i contesti funerari interessati dalle campagne di scavo del Fiorelli, patrocinate dall’allora ministro Santangelo, effettuate nel 1837 e poi nel 1840”. In particolare ci ricordano che risulta che ben 40 vasi, appena riportati alla luce, vennero venduti ad un “forastiero” per 8 ducati. Notizia che conferma quanto scritto dalla maestra Elisabetta Aversa a cui i genitori di un allievo, abitanti di quella collina, dichiararono che una nobildonna tedesca, inizio novecento, aveva addirittura assunto uno “scavatore“, un contadino della zona, per rinvenire i sarcofagi di tufo ed asportarne il contenuto. Tante testimonianze archeologiche depredate e perdute !

Alla luce di quanto brevemente esposto si potrebbero aggiungere alcune congetture ed alcune osservazioni. Per esempio considerato che parte dell’antico cimitero è costituito da tombe familiari di potrebbe supporre dell’esistenza nelle vicinanze di un consistente nucleo abitato. Per di più trattasi di una necropoli vasta e suddivisa in più parti del territorio. Né deve sfuggire che i tanti antichi camposanti sparsi in altre località della Penisola svolgevano la loro triste funzione per gli abitanti da Vico a Piano e quindi sarebbe da escludere che il Vadabillo fosse una “città funeraria“ utilizzata da tutti gli abitanti della piana sorrentina. L’ipotesi di una consistente comunità sarebbe confermata anche dal fatto che la ceramica votiva non era di importazione e quindi presupporrebbe la presenza in loco di “fabbriche” e di artigiani locali sia per la lavorazione dei sarcofagi di tufo che per i corredi tombali. Tesi , del resto, già autorevolmente avanzata dalla professoressa Claude Albore Livadie (Archeologa e docente universitaria) che denominò “Civiltà dei Colli” il popolamento intorno al IX e VIII secolo a.C “di gruppi indigeni che occuparono tutta la dorsale collinare da Sant’Agata sui due Golfi a Vico Equense fino a Scanzano“ .
Inoltre va ribadito, ahimè vox clamantis in deserto, la fondamentale importanza della restituzione dei reperti qui ritrovati che vanno esposti in loco sia perché appartengono a questa comunità, sia perché sono culturalmente interpretabili e leggibili solo se contestuali ai luoghi del ritrovamento, sia perché nessuno ha diritto a depredare una comunità del proprio passato ed i giovani del loro futuro, sia perché potendo svolgere un ruolo di volano turistico renderebbe più facile la conservazione di tutto il patrimonio storico, artistico, archeologico locale e si eviterebbero ulteriore degrado ed oltraggi alla storia ed all’ambiente. I nostri luoghi, insomma, non sono solo quelli vantati e decantati come aree di “villae e di otia“, di mitologiche divinità come le Sirene o Lamia, di cultori della dea Atene, dei possedimenti di Augusto e di località di svaghi imperiali e, più tardi, tappa obbligata per la meglio e più ricca e dotta gioventù europea del “Grand Tour“! Ma sono anche luoghi arcaici e primitivi in cui ebbe inizio la fondamentale fase sociale e civile di quel processo naturale della formazione di antiche civiltà che non rimasero immuni alla bellezza e alla fecondità che i nostri luoghi offrivano. In positivo c’è da rilevare che finalmente la conoscenza e la ricostruzione storica non è più imposta da pochi eruditi e storici di professione ma aperta ad un pubblico più vasto di appassionati di memoria patria diventando così partecipativa, democratica e popolare e dunque essenziale e centrale per esaltare e salvaguardare le realtà locali come Sorrento e dintorni dove l’esodo abitativo, la conseguente denatalità e lo smarrimento del senso di appartenenza e della ricordanza a cui stiamo assistendo vanno di pari passo e portano dritto, dritto verso la desertificazione culturale, civile, sociale e morale.

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