Diario Politico©Raffaele Lauro,  Italia

Cresce l’allarme in Italia su gioco e criminalità organizzata

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Continuiamo a segnalare all’attenzione della pubblica opinione e della classe politico-amministrativa le crescenti preoccupazioni e denunce sull’espansione del gioco in rapporto agli affari gestiti dalle mafie in Italia. Il video che vi proponiamo, pubblicato su “Il Fatto Quotidiano” rappresenta soltanto l’ultimo intervento sull’argomento che continua a tenere banco nel dibattito politico italiano soprattutto per la tenacia con cui alcuni esponenti delle istituzioni – fra questi il Sen. Raffaele Lauro del PDL – e dell’Associazionismo perseverano nell’additare i rischi che si fanno ogni giorno sempre più pericolosi per le nostre comunità sotto tutti i punti di vista. Purtroppo registriamo sempre su questo argomento inconcepibili silenzi che la dicolono lunga sugli interessi che ci sono in ballo e che coinvolgono i massimi rappresentanti anche delle istituzioni. A seguire anche un articolo sullo stesso argomento pubblicato ieri su “Il Corriere della Sera“.

http://www.ilfattoquotidiano.it/2012/01/10/gioco-dazzardo-cos-si-arricchiscono-le-mafie/182630/

MILANO – Un tempo c’era la schedina del totocalcio, il lotto e poco altro. Oggi le occasioni per scommettere su una lauta vincita si sprecano: i poker online spuntano come funghi, le slot-machine si incontrano ovunque, è tutto un fiorire di bingo e gratta e vinci. Peccato però che pochi si vedano davvero cambiare la vita per una vincita al gioco, mentre molti oltre a spendere parecchi soldi finiscono per sviluppare una vera dipendenza: secondo dati raccolti dall’Istituto di Fisiologia Clinica del CNR di Pisa, quattro italiani su dieci hanno giocato d’azzardo almeno una volta nell’ultimo anno e circa due milioni e mezzo sono a rischio di una vera “febbre del gioco”.

LO STUDIO – I ricercatori hanno analizzato i dati dell’Italian Popolution Survey on Alcohol and other Drugs, raccolti sulla popolazione dai 15 ai 64 anni, assieme a quelli provenienti dal database European School Survey Project on Alcohol and other Drugs, dedicato alla valutazione delle abitudini degli studenti delle scuole superiori. I questionari sottoposti ai partecipanti sondavano, oltre all’uso e abuso di sostanze, anche il comportamento relativo alle scommesse e al gioco d’azzardo. I risultati raccolti sono allarmanti: 17 milioni di persone fra i 15 e i 64 anni (pari al 42 per cento della popolazione generale) hanno giocato soldi almeno una volta nel corso dell’ultimo anno. Più a rischio i giovani maschi: anche se sono in proporzione meno rispetto ai giocatori con più di 25 anni, i giovanissimi scommettitori fra 15 e 24 anni hanno più spesso un’alta probabilità di scivolare in un gioco “problematico” fino a una vera e propria dipendenza. La percentuale di adulti con problemi di gioco è infatti pari all’8 per cento, circa due milioni di persone, mentre fra i giovani sale al 9 per cento, più o meno mezzo milione di soggetti che da un momento all’altro potrebbero ritrovarsi a non saper più fare a meno della scommessa quotidiana.

DOVE «PUNTANO» – I dati raccolti svelano anche quanto sia cambiato il comportamento di gioco degli italiani: se fino a qualche anno fa il simbolo della vincita al gioco era il totocalcio, oggi compila la schedina appena il 6.5 per cento degli italiani. Un’inezia rispetto al 67 per cento che dichiara di aver giocato almeno una volta a lotto o superenalotto, o al 54 per cento che ha comprato un gratta e vinci. “Tengono” le scommesse sportive, che appassionano il 15 per cento degli italiani, e crescono gli amanti del poker: i videopoker raccolgono il 6.5 per cento delle scommesse, il poker texano sfiora il 10 per cento. Interessanti anche i dati sulle cifre spese dagli italiani: il 61 per cento dei partecipanti all’indagine ha dichiarato di aver speso meno di dieci euro in scommesse e giochi vari nel corso dell’ultimo mese, ma c’è un buon 32 per cento che ne ha sborsati fra dieci e cinquanta e un 6 per cento che ha tirato fuori oltre cinquanta euro per sperare in un colpo di fortuna. Bar e tabacchi sono ancora i luoghi privilegiati dagli scommettitori: il 60 per cento degli italiani li sceglie per giocare, ma c’è anche un 39 per cento che gioca a carte per soldi a casa propria o di amici e un 22 per cento che frequenta le sale per le scommesse, mentre è in continua crescita il gioco online (scelto da circa il 12 per cento degli italiani).

SESSO, ETÀ E ISTRUZIONE – La ricerca dipinge infine il ritratto del giocatore-tipo: maschio, giovane, con una bassa scolarità, tende a consumare in eccesso alcol, fumo e anche tranquillanti. «Gli uomini che giocano d’azzardo sono il 56 per cento fra i 15-24enni e il 54 per cento fra gli adulti – riferisce Sabrina Molinaro, la coordinatrice della ricerca –. Nella fascia d’età più giovane il 10 per cento dei maschi rischia di sviluppare una dipendenza dal gioco, cinque volte di più rispetto alle giovani con meno di 25 anni. Nella fascia d’età 25-64 anni sono invece le donne ad avere una probabilità maggiore di andare incontro a un rapporto problematico con il gioco. La predominanza maschile è probabilmente dovuta al marketing, orientato soprattutto verso gli uomini con una vasta offerta di scommesse sportive, poker, slot machine; solo di recente la pubblicità ha cominciato a rivolgersi alle donne con gratta e vinci, bingo, lotto e superenalotto». I dati dimostrano che il livello di istruzione è cruciale: chi ha la sola licenza media inferiore cade più spesso nella dipendenza rispetto a chi è laureato. Inoltre, l’uso di sostanze peggiora non poco le cose: chi usa tranquillanti ha un rischio tre volte superiore alla norma di diventare dipendente dal gioco d’azzardo, chi fuma oltre 11 sigarette al giorno o è alcolista ha una probabilità doppia. «Valutando l’impennata della spesa per il gioco d’azzardo degli ultimi anni, a prescindere dai benefici generati dall’attività di questo comparto economico, occorre riflettere sul fatto che per una fetta consistente della popolazione il gioco è una vera dipendenza, da contrastare in maniera opportuna», conclude Molinaro.

Elena Meli 11 gennaio 2012 Corriere della Sera

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