Sorrento

Esclusiva intervista a Raffaele Lauro su “Dance the Love” romanzo dedicato a Violetta Elvin

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Un inno all’arte della danza, all’amore e alle bellezze anturali di Vico Equense. In poche parole il romanzo col quale lo scrittore completa la “Trilogia Sorrentina“, un atto d’amore verso la terra natale con protagonista la danzatrice russa.

di Vincenzo Califano

Raffaele Lauro con Violetta Elvin, nel 2015 (Foto M. Martucci)
Raffaele Lauro con Violetta Elvin, nel 2015 (Foto M. Martucci)

E’ un uomo di parola, Raffaele Lauro, verso se stesso e verso gli altri. Mi aveva confidato, nel 2013, quando lo intervistai sul primo romanzo della trilogia, il romanzo storico “Sorrento The Romance – Il conflitto, nel secolo XVI, tra Cristianesimo e Islam”, che si sarebbe impegnato a concludere, con il terzo romanzo, entro il 2016.

Non è stato facile, neppure per lui, notorio stakanovista, in quanto, per due anni, si è dedicato anima e corpo al rapporto tra Lucio Dalla e Sorrento, con un tour di 21 tappe e con ben tre libri, tutti esauriti: il romanzo biografico “Caruso The Song – Lucio Dalla e Sorrento”, i dialoghi “Lucio Dalla e San Martino Valle Caudina – Negli occhi e nel cuore” e il quaderno di viaggio “Lucio Dalla e Sorrento Tour – Le tappe, le immagini e le testimonianze”. Infatti, mi confessa subito, in questa intervista in anteprima, che mi concede, da Roma, per i lettori di Politica in Penisola, i suoi timori della vigilia.

Violetta Elvin in una foto degli anni 50
Violetta Elvin in una foto degli anni 50

D: Ce l’abbiamo fatta, dunque, prof? Quando uscirà “Dance The Love”?

R: Grazie a Dio, sì. Ero uscito letteralmente stremato dal lungo viaggio biennale, in Italia e all’estero, con Lucio Dalla, ovunque accolto da un entusiasmo popolare per il grande artista e per Sorrento, che mi ha commosso e letteralmente travolto. Ma anche molto stancato. Non sono più un virgulto! Fino a due mesi fa ho nutrito il timore di non essere all’altezza di una straordinaria storia d’arte e d’amore, come quella di Violetta Elvin, da circa sessant’anni riservata cittadina di Vico Equense. Ho deciso, allora, di annullare tutti i miei impegni e di chiudermi in una sorta di clausura, quasi totale, che è durata due mesi. Ora che ho terminato la stesura definitiva della bozza e le correzioni, con l’aiuto di amici, come Salvatore Ferraro, Giuseppe Cioffi, Riccardo Piroddi e Antonio Savarese, mi posso dire, in qualche misura, soddisfatto, anche se chi scrive non è mai soddisfatto del suo lavoro. E se non si decide a chiudere e a pubblicare, rischia di lavorare all’infinito, ben più dei diciassette anni occorsi a Manzoni per la definizione de “I Promessi Sposi”. Sempre che si possano paragonare le mie piccole cose a quelle grandi di don Alessandro. Lo presenterò, a fine luglio, in anteprima nazionale, naturalmente a Vico Equense, in una serata in onore di Violetta Elvin.

D: Ancora una volta lei utilizza gli occhi, il cuore, i pensieri, la parola e i sentimenti di un personaggio famoso, inventato o storico, come Marino Correale e Lucio Dalla, per esaltare la nostra costiera sorrentino-amalfitana.

R: Gli occhi di Violetta Elvin sono gli stessi occhi di Marino Correale e di Lucio Dalla. Sono i miei occhi. Non si tratta, tuttavia, di un semplice amarcord felliniano, quanto della consapevolezza che la nostra terra, da Vico Equense, Meta, Piano di Sorrento, Sant’Agnello, Sorrento a Massa Lubrense, con le propaggini dell’Isola di Capri e di Positano, rappresenta un microcosmo straordinario, fatto non soltanto di bellezze naturali, uniche e irripetibili, ma di tanti “piccoli mondi”, in equilibrio tra loro, dal punto di vista antropologico, sociologico, culturale, religioso e folcloristico. E della civiltà, sia contadina che cittadina, sia localistica che globale, quest’ultima attraverso la leva del turismo, nazionale e internazionale, con radici che affondano nei secoli.

D: Lei, quindi, instaura un rapporto diretto tra il paesaggio naturale e quello umano?

R: I due paesaggi si confondono, si compenetrano e si nutrono a vicenda, in una felice osmosi, consentendomi di scrivere pagine, emozionanti e commoventi, spero di autentica poesia, come nelle riflessioni della protagonista, con se stessa, dall’alto di Monte Comune. Naturalmente, ho tralasciato le violenze, spesso perpetrate dall’uomo, sulla natura.

D: Chi è il vero protagonista di questo romanzo? La danzatrice Violetta Elvin o lei?

R: La protagonista risulta certamente la grande danzatrice russa Violetta Elvin, nata Prokhorova, vedova di Fernando Savarese, con gli intrecci e gli sviluppi, che hanno dell’incredibile, lungo quasi un secolo, della sua vicenda, esistenziale e artistica. Questo libro, tuttavia, non pretende di essere e non rappresenta la biografia della celebre danzatrice, ma si ispira liberamente, in una forma romanzata, alla sua storia, sullo scenario del secondo dopoguerra, e al suo legame, quasi sessantennale, con Vico Equense e con la costiera sorrentino-amalfitana. Tutti i riferimenti ai personaggi storici citati sono reali, anche se la ricostruzione dei dialoghi, le valutazioni storico-politiche e i giudizi estetici sono da ricondurre esclusivamente all’autore.

D: Dalla dedica, che mi ha anticipato, si colgono diversi livelli di lettura di questo nuovo romanzo.

R: I diversi livelli di lettura sono da me apertamente dichiarati nella dedica ad un’artista splendida e ad una donna coraggiosa, come donna Violetta. L’amore per la libertà, per l’arte della danza, per le incredibili bellezze naturali di Vico Equense e l’omaggio alla terra di origine dei miei nonni materni, don Raffaele e donna Peppinella.

D: Perché lei parla di amore per la libertà?

R: Lo scenario storico, entro cui si svolge la vicenda umana di Violetta Elvin, come donna e come danzatrice, mi ha consentito di affrontare, indirettamente, le grandi tragedie del Novecento, che seguirono alla prima guerra mondiale, con il radicarsi delle due dittature, nazista e stalinista, matrici del secondo conflitto mondiale e causa di milioni di morti. In particolare, la dittatura stalinista, con il suo seguito criminale di purghe, di deportazioni di massa e di persecuzioni della polizia politica, che interferiscono anche sulle scelte di vita della protagonista.

D: Violetta Elvin fu perseguitata?

R: Fu certamente condizionata da un regime che non solo vietava di esprimere le proprie opinioni, ma arrivava a reprimere persino la libertà artistica, la libertà di creare la musica e la danza, perché tutto doveva essere piegato alle finalità della propaganda bolscevica e al culto della personalità del dittatore georgiano.

D: La protagonista riuscì a sfuggire al regime stalinista?

R: Il lettore scoprirà come. Ma posso anticipare quanto sia coinvolgente lo straordinario viaggio dell’artista verso la libertà: Mosca, Leningrado (San Pietroburgo), Helsinki, Oslo e, infine, Londra. Ho condiviso l’amore per la libertà di questa donna eccezionale, che ha suscitato in me, come spero susciti nei lettori, una profonda ammirazione.

D: Come viene fuori, da questo groviglio di eventi, l’arte della danza di Violetta Elvin?

R: I lettori e gli appassionati dell’arte di Tersicore incontreranno, in questo romanzo, i grandi della danza mondiale, dapprima colleghi e, poi, dopo l’abbandono, nel 1956, del palcoscenico, amici della protagonista. Una folla di personaggi consacrati nella storia della musica e del balletto: dai grandi compositori (Pëtr Il’ič Čajkovskij, Dmitrij Šostakovič e Igor’ Stravinskij), ai grandi coreografi (Marius Petipa, Léonide Massine e Frederick Ashton), ai grandi scenografi (Picasso), ai grandi interpreti femminili (Anna Pavlovna Pavlova, Margot Fonteyn e Moira Shearer) e maschili (Vaslav Nižinskij, Michael Somes e Rudolf Nureyev).

D: Quanti anni è durata la carriera di Violetta Elvin?

R: Dall’arrivo a Londra, nel 1946, all’abbandono, per amore, nel 1956, trascorsero 10 anni, nel corso dei quali, Violetta Elvin divenne una delle stelle, a Covent Garden, del Royal Ballet, con tournèe di successo, nei maggiori teatri d’Italia (Teatro alla Scala di Milano, Teatro La Fenice di Venezia, Teatro Comunale di Firenze, Teatro dell’Opera di Roma e, naturalmente, il Teatro di San Carlo di Napoli) e del mondo.

D: Per quale ragione Violetta Elvin lasciò definitivamente la danza?

R: Lo scopriranno i lettori. Violetta Elvin passa dall’amore per la danza all’amore per la vita, all’amore per una persona e per una terra. Un segno, questo, di lucida saggezza, quasi profetica, in una donna al culmine del successo artistico, poco più che trentenne, in totale controtendenza nei confronti di chi, sul viale del tramonto, pateticamente, non riesce a privarsi delle luci della ribalta.

D: La terra amata, dunque, è Vico Equense, la costiera sorrentino-amalfitana?

R: Il rapporto tra Violetta Elvin e Vico Equense, che diviene la sua terza patria, dopo Mosca e Londra, rappresenta un passaggio chiave di quest’opera. Violetta si innamora non solo dell’uomo della sua vita, ma anche delle bellezze paesaggistiche di Vico Equense: il fascino della montagna, coperta, sulla sommità, da un intrico di flora centenaria, profumata, nelle selve, da fiori sconosciuti e diffusa, dappertutto, come un mantello protettivo, da una macchia mediterranea, che si rinnova senza tregua; l’armonia digradante delle colline, il cui sorriso si disvela, anche all’occhio più distratto, nella luce abbagliante del sole o nel tenue chiarore della luna; il piano, che sembra, con i suoi palazzi signorili e le sue chiese, scivolare lentamente verso l’orlo estremo, indugiando, per un attimo, solo per un attimo, davanti allo spettacolare Golfo di Napoli; la costa alta, scolpita, nei secoli, dall’impeto dei venti, dalle acque piovane, dai rivi defluenti e dai marosi, che si tuffa, come le fondamenta di una cattedrale gotica, nell’azzurra profondità delle acque marine, nascoste, talvolta, in grotte misteriose o pullulanti intorno a scogli solinghi.

D: La terra di origine dei suoi nonni materni?

R: Certamente. Don Raffaele Aiello, del quale porto il nome, e donna Giuseppina De Simone, detta donna Peppinella, ebbero tredici figli, tra i quali Angela, mia madre. Erano originari entrambi da due famiglie di Massaquano: gli Aiello, contadini-proprietari, benestanti, con uno zio prete, all’epoca, molto colto e influente; i De Simone, invece, più modesti, falegnami, piccoli artigiani del legno. Dopo il matrimonio, i due si trasferirono, con il seguito dei figli, che nascevano, in un terreno da coltivare, a monte di Marina d’Aequa, successivamente in un aranceto di Sorrento e, infine, nel fondo di loro proprietà, a Migliaro, sopra la Chiesa di Sant’Agnello. Il mio omaggio a Vico Equense, tramite Violetta Elvin, vuole essere anche il mio omaggio alla terra di origine dei miei nonni materni.

D: Questo libro, dunque, rappresenta anche la testimonianza di quanto lei sia rimasto legato alle sue radici familiari, territoriali e culturali, pur vivendo, da quasi quarant’anni, a Roma? Ci sarà un seguito alla trilogia su questo legame?

R: Con la conclusione della trilogia non credo di poter aggiungere altro a questa mia testimonianza d’amore. Se i lettori mi confermeranno la loro fiducia, come in passato, continuerò a scrivere, ma su storie diverse, storie globali.

D: Ricordo di un progetto annunciato che riguardava Pompei e una storia di camorra.

R: Sì, era un progetto in fase avanzata, apocalittico, senza speranza nel futuro. Catastrofistico. Finché nutrirò la speranza, nonostante tanti segni contrari, sulla rinascita dell’umanità e sull’affermazione di un sano sviluppo economico della nostra regione, non condizionato e tormentato dalla criminalità organizzata, dalla camorra, non pubblicherò mai questo libro. Il giorno che dovesse essere pubblicato significherà che ho perduto ogni speranza nel futuro.

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