Italia,  Sorrento

Tassa di soggiorno: Governo e Comuni battono cassa!

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di Luigi Poi

Aumentano in tutta Italia la tassa di soggiorno e la tassazione sugli affitti brevi. Milano si propone capofila per un riordino organico della tassa di soggiorno. Anche Sorrento decide un aumento della tariffa locale a carico dei turisti portandola ad 1,50 per campeggi, ostelli e agriturismo, a 2 per hotel a tre stelle, a 4 per i quattro stelle, a 5 per i cinque stelle. Anche per i BB e le altre attività extralberghiere la tariffa passerà da 3 a 4 stelle. Nessuno ha pensato di renderla più onerosa per chi soggiorna per poco tempo e chi invece resta sul territorio almeno 4 o 5 giorni? Mentre per i rincari della cedolare secca sugli affitti brevi si è deciso per un aliquota del 26% (dalla seconda casa), mentre per la prima rimane al 21%.
Nel mirino del governo sono finiti i cosi detti affitti brevi, quella locazione di alloggi di un giorno o due o poco più che stanno creando problemi a tante comunità locali, alle giovani coppie che cercano casa, al buon funzionamento dei servizi pubblici (spesso già carenti di sé), che hanno finito col “trasformare le nostre città e cittadine in un immenso dormitorio mordi e fuggi“.

Se poi si aggiunge l’arrivo serale o notturno di chi vuol passare una serata più serena e gradevole rispetto all’offerta della località dove si vive (ne sappiamo qualcosa noi sorrentini) la misura è colma. Non da meno le amministrazioni comunali che incominciano a sentire sul collo il fiato rancoroso dei propri elettori e logicamente drizzano le orecchie (qualche sindaco rizza anche i capelli di fronte alla perdita di cittadini “doc“) presagendo e temendo la caduta di consensi. E’ una problematica che va dalle grandi città come Milano, Napoli, Roma, Venezia, Firenze alle più rinomate località turistiche come quelle dei laghi e delle coste, dalle Alpi all’estremo Sud.

I comuni trovano un buon alibi per aumentare la tassa di soggiorno (maggiori costi dei servizi collettivi) ed il Governo è pressato elettoralmente in primis dalle tante proteste dei cittadini residenti ed a seguire da quelle degli studenti soprattutto universitari fuori sede, dei lavoratori a basso o medio reddito (specie quelli trasferitesi al nord), dei nuovi nuclei familiari; i primi per le più difficili condizioni di vivibilità e i conseguenti fenomeni come inquinamento acustico e atmosferico, mancanza di parcheggi, aumenti dei prezzi dei beni e dei servizi, la trasformazione di botteghe artigiane e storici negozietti di quartiere in friggitorie e wine bar, i secondi per l’impossibilità di trovare una abitazione col rischio di finire nelle periferie degradate dove purtroppo imperano pericolose baby gang e spacciatori ad abundantiam o sobbarcarsi il disagio di un viaggio quotidiano lungo e costoso per raggiungere l’Università o la sede di lavoro.

Sia il Governo sia i Comuni hanno pensato di risolvere il problema, almeno parzialmente, utilizzando la leva fiscale; il primo aumentando la cedolare secca sugli affitti brevi dalla seconda abitazione messa sul mercato della ricettività turistica, i secondi aumentando la tassa di soggiorno. Logicamente come tutte le misure che “mettono le mani nelle tasche dei cittadini“ entrambi i provvedimenti creano tensioni non soltanto con e tra gli operatori del settore, ma tra le stesse forze politiche, con l’aggravante che un’eventuale provvedimento di aumento differenziato della tassa di soggiorno di oltre 5 euro investe più competenze, dal Comune al Governo passando per le Regioni. Quella frammentazione di poteri e di ambiti legislativi e burocratici che più o meno è la stessa medesima che blocca le opere pubbliche, che rallenta la giustizia, che non fa funzionare gli ospedali e le scuole e tanto altro. A mò d’esempio (notizie tratte dalla pagina milanese del Corriere della Sera del 27 ottobre) si evidenzia proprio la soluzione che l’assessore al turismo del comune di Milano avrebbe individuato e che obiettivamente non è priva di buon senso ma non può essere attuata perché è necessaria ed obbligata la deliberazione degli Enti territoriali superiori. La proposta di rimodulazione e la conseguente richiesta di rialzo della tassa (molto differenziata) sarebbe quella di chiedere più soldi ai turisti che alloggiano in alberghi di lusso (cinque stelle e altri) e a chi “morde e fugge“ nelle altre forme di ospitalità .

Per questo – spiega l’assessore al Turismo Martina Riva in uno con l’assessore al bilancio, Conte abbiamo presentato un emendamento alla bozza dell’imminente legge di bilancio per l’innalzamento del tetto massimo“. Ora il limite, esclusa Roma Capitale, è di 5 euro, il comune di Milano (quest’anno potrebbe raggiungere l’obiettivo di 10 milioni di arrivi) la vorrebbe a dieci euro. “Se una camera in un hotel di lusso arriva a costare anche duemila euro a notte non mi sembrerebbe così sproporzionato chiedere per la città un contributo di 10 euro“.
Come sembra giustificato richiedere un ulteriore ritocco all’insù per gli affitti brevi considerato i maggiori disagi determinati da questi soggiorni di uno o due notti ed il maggiore peso economico da sostenere per garantire a tutta la cittadinanza un buon livello dei servizi pubblici. La riflessione fatta dall’assessorato del comune di Milano si sintetizza in questa dichiarazione: “Il turismo è certamente fonte di ricchezza e di benessere economico, ma un numero elevato di turisti ha un forte impatto sulla città. Rinnoviamo la richiesta che le norme nazionali rendano la tassa di soggiorno uno strumento realmente perequativo a disposizione di tutti gli enti locali”.

Il Comune di Milano per il 2022 ha incassato da questa tassa 52,5 milioni di euro ed ha in previsione di chiudere il 2023 con 55 milioni. In effetti con un pizzico di fantasia“, con tanta assennatezza e con il recupero dello smarrito spirito pratico, questa tassa di scopo potrebbe essere utilizzata in modo più diversificato e come strumento di riequilibrio tra le diverse attività della ricettività e contribuendo a garantire la primaria necessità di formare una riserva di abitazioni civili per i residenti ed in particolare per i giovani. Provvedimento in se stesso solo minimamente incisivo, ma comunque un primo step che dovrebbe essere legato a una maggiore autonomia per l’Ente Comunale, cioè decentrare a questo ente il potere di stabilire anche le regole e i requisiti per accedere ed esercitare l’attività alberghiera e quella extra individuando le aree dove essa vanno incrementate oppure scoraggiate. I dati di Sorrento, in questo senso, sono molto significativ: nel 2022 sono stati contabilizzati 6 milioni e 33 mila euro di incassi ma la popolazione residente si è ridotta dal 2016 ad oggi da 16.405 unita a 15.438. Non ha influito tanto l’esodo dei giovani cervelli e la denatalità (120 nati nel 2017, 96 nel 2021 ) ma quanto il trasferimento in comuni dell’entroterra vesuviano o a Vico e Massa per mancanza di abitazione da locare, col risultato da registrare una avvilente perdita media annua di abitanti dell’1,25% dal 2016 al 2022. Il “caso“ Sorrento non è comunque un “unicum“, esso riguarda tante città e cittadine italiane. Insomma questa tassa, uno degli inevitabili tributi che (a differenza delle imposte come Imu, Irap, Irpef e compagnia bella) viene chiesta dagli Enti locali territoriali come contropartita per meglio gestire i servizi di interesse collettivo, in questo caso di natura turistica e culturale. E’ dunque nata come una tassa di scopo ma spesso viene disattesa proprio nella sua specificità. Infatti era stato concepita come un balzello necessario per fa fronte ai maggiori costi dei servizi turistici e di quelli culturali ed applicato in forza del principio della controprestazione; a parole povere “io do una cosa a te se tu dai una cosa a me”! espressione che deriva da una efficacia e sintetica regola latina basata sull’esperienza di vita privata e pubblica: “do ut des”, io ti do affinché tu dia).
Sveglia caro ministro Calderoli!

La vera autonomia differenziata deve partire dal basso e deve mettere in grado chi amministra un territorio di operare senza impraticabili vincoli burocratici, senza eccesso di lacci e lacciuoli legislativi, senza schemi ideologici, senza sottoporsi alla ghigliottina di veti incrociati in modo da poter poi affrontare il giudizio della cittadinanza decretato liberamente e democraticamente dalle urne. Chi meglio del Sindaco e dei consiglieri comunali conosce le esigenze ed il desiderato della propria comunità? Quale modo migliore per accorciare la distanza tra il “bla bla bla” della politica e ciò che pensano e vorrebbero le persone comuni, i cittadini “semplici” spesso più assennati dei sapientoni in giro per i salotti televisivi? Quale più valido obiettivo, veramente popolare e liberale, per allargare il potere dell’Ente municipale in materia di tasse locali e vincoli di destinazione ed uso degli edifici? Quale migliore metro di giudizio da consegnare ai cittadini elettori per discernere e valutare il continuo e spesso furbesco “scaricabarile“ di incombenze e di responsabilità? Quale principio più giusto e legittimo di quello di affidare il governo del territorio a chi ci vive da sempre, a chi ha deciso di rimanerci, a chi ne vuole conservare l’identità storica e culturale?

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