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Resistenza: prima di tutto il lavoro…Guardiamo ai Movimenti!

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Pubblichiamo il testo del documento sulle elezioni politiche proposto da Resistenza le cui considerazioni offrono spunti di riflessione utili sull’attuale momento politico nazionale.L’investitura pressoché unanime dei caporioni dell’Unione Europea, il compromesso trovato tra Commissione europea e Vaticano sull’ICI (pagamento condonato dal 2006 al 2011 perché “impossibile calcolare l’importo”!) e la benedizione degli Agnelli-Elkann a Melfi, hanno rafforzato le quotazioni di un governo Monti bis patrocinato da una parte dei “grandi elettori” nostrani...

Quella parte della classe dominante (con alla testa il gruppo De Benedetti) che invece puntava sul PD perché “occorre un governo di sinistra per attuare un programma di destra” ha perso terreno: Bersani è avviato a seguire le orme di Occhetto, anche se porta in dote la collaborazione o almeno la “desistenza” della CGIL e di una parte della FIOM, di pezzi della sinistra borghese (da SEL all’IdV passando per il PRC e il PdCI, dall’ALBA-Cambiare si può fino agli Arancioni)? Ma non è detto che non trovino una qualche forma di inciucio né sono da escludere colpi di mano, le stragi dei primi anni ’90 sono lì a dimostrarlo… Non ci aggiungiamo al coro di quanti si dedicano a prevedere e interpretare le mosse, le manovre, i piani, le contorsioni e le alchimie elettorali degli esponenti “responsabili” della politica, della finanza, del clero, dell’amministrazione pubblica, delle forze armate e delle polizie, degli affari (i vertici della Repubblica Pontificia): non è questo il compito dei comunisti. Al netto delle ipotesi che riempiono i mass media di regime sulle intenzioni di Monti, sulle chance di Bersani e su cosa farà Berlusconi, ci sta il fatto che mai come adesso le elezioni sono diventate un catalizzatore della crisi politica: una mina vagante per le classi dominanti, un’occasione per le masse popolari organizzate.
Tanto poco i vertici della Repubblica Pontificia sono sicuri di riuscire a ottenere attraverso le elezioni un Parlamento succube come e più di quello attuale che hanno messo in soffitta la riforma della legge elettorale, sulla data delle elezioni hanno saltellato fino all’ultimo e sulle firme per presentare le nuove liste la nebbia è ancora fitta.
Sia che le elezioni vengano rinviate in attesa di “tempi migliori” sia che si tengano effettivamente e qualunque sarà l’esito, l’alternativa per le masse popolari è una sola. Per non subire gli effetti congiunti della crisi, della guerra dei Marchionne e dei ricatti della comunità internazionale dei banchieri, dei finanzieri e dei grandi capitalisti, occorre costruire un governo d’emergenza popolare deciso a rompere i ricatti e i vincoli del mercato finanziario, ad usare ogni mezzo per trasformarsi da ricattato in ricattatore nei confronti della comunità internazionale degli speculatori.
Le elezioni non sono la via principale per costituire un governo del genere, ma le elezioni sono un’occasione d’oro per fare un salto avanti in questa direzione. Due sono le questioni al centro dello scontro politico prima, durante e dopo le elezioni.
Il lavoro, la difesa dei posti di lavoro e la creazione di nuovi, di posti di lavoro utili e dignitosi. Senza lavoro non si vive (la stragrande maggioranza della popolazione non vive), senza un lavoro sicuro c’è il ricatto e il furto del futuro, senza un lavoro rispettoso della salute, dell’integrità e della sicurezza dei lavoratori e dell’ambiente il lavoro uccide, rende invalidi e deforma, avvelena la terra, l’aria e le acque. Con il lavoro si producono i beni e i servizi che servono alle famiglie, alle aziende e alla vita collettiva. Con il lavoro e solo con il lavoro è possibile realizzare ogni altro obiettivo: rimettere in sicurezza il territorio, i fiumi e le coste, far funzionare dignitosamente le scuole, gli ospedali e gli altri servizi pubblici, recuperare e mettere in sicurezza gli edifici pubblici e privati, recuperare e valorizzare il patrimonio artistico e paesaggistico. Un lavoro utile e dignitoso per tutti è alla base della sicurezza e della coesione sociale, della difesa dell’ambiente e dello sviluppo della cultura, dell’inclusione e della solidarietà, della partecipazione alla vita politica e sociale.
La nuova governabilità. La costruzione ogni livello (nazionale, regionale, cittadino, di zona, azienda, scuola, quartiere, ecc.) di comitati di salvezza nazionale (o comunque li si voglia chiamare), cioè di centri che aggregano, organizzano e mobilitano le masse popolari ad elaborare e ad attuare provvedimenti, misure, progetti zona per zona e caso per caso a far fronte da subito agli effetti più gravi della crisi, a disobbedire e ribellarsi alle norme e ai provvedimenti che calpestano gli interessi della stragrande maggioranza della popolazione e della vita collettiva, a spingere (e costringere) le amministrazioni locali perché si mettano realmente al “servizio dei cittadini” sviluppando azioni autonome dal governo centrale e usando le risorse, i poteri e i mezzi di cui dispongono prima di tutto per difendere e creare posti di lavoro. Non vuol dire esprimere solidarietà e comprensione, ma sostenere praticamente e in modo fattivo, coordinare e mettere in sinergia le mille battaglie e iniziative che ovunque lavoratori, cassintegrati, disoccupati e precari stanno conducendo e promuoverne di nuove mettendo a contribuzione tutti: tecnici, professionisti, organismi di volontariato, piccoli imprenditori, esponenti e strutture della chiesa, banche (etiche e no).  
 Un ruolo importante a questo fine possono giocarlo le liste alternative al Centro-destra e al Centro-sinistra, a partire dalle principali: Movimento 5 Stelle da una parte e ALBA-Cambiare si può e gli Arancioni di De Magistris dall’altra. Non sono comunisti, anzi molti dei loro esponenti hanno contribuito e contribuiscono alla denigrazione del movimento comunista e all’esperienza dei primi paesi socialisti (gli “errori e orrori” di bertinottiana memoria). Credono o sperano che sia possibile risolvere la crisi (o anche solo mitigarne gli effetti) senza instaurare un nuovo sistema di relazioni economiche e sociali, ma restando nell’ambito del capitalismo anche se riformato e corretto in alcuni suoi aspetti più estremi e distruttivi. Sono convinti che sia possibile condizionare in senso favorevole alle masse popolari un governo che agisce su mandato e in accordo con i vertici della Repubblica Pontificia e le istituzioni della comunità internazionale degli speculatori, benché l’esperienza di PRC-PdCI-Verdi con il governo Prodi (ma anche prima quando al governo c’era Berlusconi e i partiti della sinistra borghese erano ancora in Parlamento) abbia mostrato al di là di ogni dubbio la velleità di questo obiettivo.
Però danno voce e alimentano l’insofferenza verso l’attuale corso delle cose e la volontà di cambiamento della parte più attiva, d’iniziativa e generosa delle masse popolari, ne raccolgono la fiducia, l’interesse e le aspirazioni. Qui sta la loro importanza e le loro potenzialità, non nelle idee e nei propositi dei loro promotori, comici o magistrati che siano e neanche nella radicalità dei loro programmi. In particolare del Movimento 5 Stelle di Grillo, non a caso da tempo oggetto del fuoco incrociato dei cecchini di destra, centro e sinistra, da Napolitano e Monti a Ferrero e gli stessi promotori di Cambiare si può (che si proclamano “alternativi a PD e a Grillo”). “Populismo” e “antipolitica” le accuse che dai media di regime rimbalzano anche nel nostro campo. Parliamoci chiaro: il “peccato originale” di Grillo, quello che Napolitano & C. bollano come “populismo” è il far leva sull’ostilità popolare diffusa contro Monti (come contro Berlusconi e prima contro Prodi: contro ogni governo dei poteri forti dopo un po’ che è all’opera) anziché confonderla, annacquarla, diluirla, attutirla con chiacchiere, programmi, commissioni di studio, distinguo, menù della cucina dell’avvenire.
Lavoro, diritti, beni comuni, ambiente, partecipazione, legalità, attuazione della Costituzione sono obiettivi che compaiono tutti nei programmi delle liste alternative a Monti, Berlusconi e Bersani. Quello che conta però non è la quantità di obiettivi, provvedimenti e propositi giusti, sentiti, radicali proclamati e scritti: nessun partito, nessuna lista, nessuna persona si presenta alle elezioni promettendo di aggravare disoccupazione, miseria, repressione, inquinamento e degrado sociale anche se poi è quello che effettivamente fa!
La prova del nove è la pratica: non aspettare dopo le elezioni (se si terranno, se non saranno blindate per le nuove liste, se prenderanno voti… troppi se!), iniziare ad attuare da subito le misure e gli obiettivi indicati nei programmi con i mezzi, le risorse e soprattutto le forze già disponibili, quelle che in buona parte sono già mobilitate e attive su uno o l’altro di questi obiettivi, approfittando della campagna elettorale e delle divisioni nel fronte padronale e borghese. “Lavoro” se non è uno slogan vuol dire organizzare e mobilitare i lavoratori a tenere aperte e a far funzionare l’ALCOA, la FIAT di Termini Imerese, l’Irisbus, la Jabil e la miriade di altre aziende chiuse o a rischio chiusura, delocalizzazione, ridimensionamento. “Ambiente” vuol dire mobilitare il Comitato cittadini e lavoratori liberi e pensanti insieme agli operai dell’ILVA a prendere in mano la trasformazione degli impianti e la bonifica del territorio di Taranto. L’elenco potrebbe continuare, ma il concetto è chiaro. Vale in particolare per ALBA-Cambiare si può e gli Arancioni. Anche se non si accodano al PD, per quale motivo la gente dovrebbe credere alle loro promesse, dato che da amministratori locali non hanno nemmeno mantenuto le promesse fatte in campagna elettorale nel 2011? Se davvero hanno un programma alternativo devono iniziare a praticarlo, devono organizzarsi e organizzare le masse popolari per praticarlo! Prendiamo De Magistris: se dopo più di un anno e mezzo che amministra la città di Napoli, si presenta alle elezioni avendo come sua unica e principale credenziale la creazione dell’ABC (ripubblicizzazione dell’acqua), perché la gente dovrebbe votarlo?
Strettamente legato a questo c’è il criterio (valido soprattutto per quella ampia e variegata componente di sinceri democratici) che applicare la Costituzione significa rompere con le leggi, le regole, i patti e gli accordi della Repubblica Pontificia che sono leggi, regole, patti e accordi che violano la Costituzione della Repubblica italiana.
A partire dall’art. 1, “l’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro”! L’impegno ad applicare la Costituzione e le denunce dei ripetuti, quotidiani e crescenti strappi e violazioni della Costituzione ad opera delle autorità e delle istituzioni, se non sono parole devono diventare questo: agire in rottura con le leggi, le regole e le norme che la violano, disobbedire e chiamare a disobbedire alle leggi, le regole e le norme che violano lo spirito e la lettera della Costituzione nata dalla Resistenza.
Gli “italiani che contano” e le loro forze politiche per avere voti (e sempre meno gli riesce!) contano sull’influenza e sulla struttura capillare della Chiesa, sulle vecchie clientele, sull’esperienza di sottomissione e rassegnazione che milioni di persone vivono ogni giorno, sull’ignoranza, sulla propaganda, sull’abbrutimento, sulla corruzione, sulla disperazione. Se non fanno leva sulla mobilitazione, sul protagonismo, sull’organizzazione e sullo slancio delle organizzazioni operaie e popolari per attuare da subito “lavoro, diritti, beni comuni e ambiente” rompendo con tutto quello che va contro la Costituzione, i promotori delle liste alternative cosa contrappongono a questi punti forti dei Bersani, dei Monti, dei Berlusconi per avere voti?
 Questo e principalmente questo è il banco di prova delle liste alternative al PD e delle possibili forze che vi aderiscono. Il rispetto della Costituzione senza una mobilitazione straordinaria per difendere e creare posti di lavoro, che entra nel concreto di questo principale obiettivo, che favorisce e moltiplica la partecipazione e il protagonismo popolare rimarrà un obiettivo vuoto, un guscio. E, si badi, i risultati elettorali per il campo delle masse popolari sono secondari, accessori. Più che le percentuali di consensi, vale il ruolo che le liste, gli aggregati e le forze alternative a Monti e al Centro-sinistra di Bersani, se alternative saranno, vorranno e sapranno assumere rispetto al movimento popolare: o lo promuovono (consapevoli e decise di rompere le leggi, i vincoli e le norme eversive) o lo ostacolano (legalitarismo cieco, compatibilità con il sistema). Questo è anche il bivio che ha di fronte il Movimento 5 Stelle, che parte con un vantaggio di chiarezza rispetto  ruolo di incompatibilità che sostiene di voler avere. Alla prova dei fatti vale lo stesso criterio: organizzarsi e organizzare per rompere la “legalità eversiva” dei vertici della Repubblica Pontificia e per diventare forza costruttrice della nuova governabilità.
A livello nazionale, le alternative intorno a cui si decide il ruolo degli aggregati come ALBA-Cambiare si può, Arancioni e Movimento 5 Stelle sono le seguenti.
 
1. Stilare piattaforme e programmi di promesse per quando si sarà diventati forza di governo oppure usare da subito i mezzi, le risorse, il prestigio di cui si dispone e i ruoli che si esercitano nella società civile, nel sindacato e nella pubblica amministrazione per attuare la parola d’ordine “un lavoro utile e dignitoso per tutti” (lanciare e attuare un Piano del Lavoro) e le altre misure necessarie a far fronte agli effetti della crisi?
2. Mettere in primo piano accordi per costituire una lista comune alle prossime elezioni quando e se i vertici della Repubblica Pontificia le indiranno con le regole che a loro converranno oppure mobilitarsi per moltiplicare le organizzazioni operaie e popolari, per promuoverne il coordinamento a livello territoriale e tematico, perché ognuna assuma come obiettivo comune e principale la costituzione di un proprio governo d’emergenza?
3. Puntare a diventare un governo meno impopolare o antipopolare (No Monti bis, No Bersani-Vendola-Renzi-Casini-Montezemolo, ecc.) approvato dai vertici della Repubblica Pontificia e dalle istituzioni della comunità internazionale degli speculatori oppure puntare a costituire un governo d’emergenza delle organizzazioni operaie e popolari, che si basa sulla loro forza e sulla loro iniziativa per individuare e attuare i provvedimenti cui dare forza e forma di legge nazionale, per fare ingoiare questo governo a Confindustria, Vaticano, organizzazioni criminali, imperialisti USA e sionisti (i poteri forti del nostro paese)?
4. Puntare a contrattare con la BCE, la CE, il FMI e le altre istituzioni della comunità degli imperialisti europei e americani un’uscita dalla UE o comunque un’attenuazione delle costrizioni finanziarie, bancarie, industriali, ecc. oppure puntare sul fatto che sono ricattabili, non possono permettersi di espellere l’Italia dal sistema finanziario e bancario internazionale?
5. Rinegoziare il debito pubblico con le istituzioni del mercato finanziario oppure annullare il pagamento di interessi, rate e commissioni (tutelando solo i piccoli risparmiatori), trascinando con l’esempio altri paesi come la Grecia, il Portogallo, la Spagna, ecc. e mettendo in difficoltà con le masse popolari del loro paese quei governi che insistono a spremerle per sottostare alle condizioni della comunità internazionale degli imperialisti europei e americani?

La crisi del capitalismo continuerà ad aggravarsi, per tenersi a galla e guadagnare tempo, le istituzioni della borghesia e del clero non faranno che infierire maggiormente sulle masse popolari (in ogni paese secondo le tradizioni e la posizione internazionale particolari del paese). In questa situazione per ognuna di queste questioni il secondo è l’unico schieramento razionale, di prospettiva”.

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