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Fincantieri/Nel 2009 il Sen. Lauro presentò una mozione al Governo sul problema della cantieristica italiana

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cantieri stabiesi

Il testo dell’interrogazione parlamentare promossa dal Sen. Raffaele Lauro, insieme ad altri colleghi del PDL, nel novembre 2009 sull’emergenza della cantieristica italiana.

LAURO, BALDINI, CALABRO’, CALIGIURI, CARUSO, CONTI, COSTA , DI STEFANO, FASANO, GRAMAZIO, LATRONICO , MAZZARACCHIO , MENARDI , MUSSO, NESSA , PASTORE , PICCONE , SALTAMARTINI , SARRO , SIBILIA , TOTARO , VICECONTE.

Il Senato

premesso che:

      la crisi della cantieristica, per la intrinseca natura internazionale del settore navale e per la stretta interdipendenza dei suoi segmenti, ha oggi una dimensione globale;
      anche nel settore “nuove costruzioni” la domanda mondiale ha registrato una forte contrazione (in particolare nel comparto standard gli ordini sono scesi in un anno del 46 per cento, mentre quelli nel comparto high tech del 59 per cento);
      la crisi del settore è definitivamente esplosa nei primi mesi del 2009 con una riduzione della domanda di nuove navi di oltre il 90 per cento secondo i dati della Community of european Shipyards association (CESA);
      considerato che:
      la cantieristica italiana ed europea, che non poteva restare immune dall’onda della crisi, dovuta senz’altro a fattori globali comuni a tutta l’economia, ha subìto anche i contraccolpi di una aggressiva politica economica messa in atto dai Paesi del sud-est asiatico i quali, dopo aver conquistato nel periodo del boom una grande fetta di mercato, hanno messo in atto grossi meccanismi protezionistici con finanziamenti statali e crediti agevolati;
      il programma appena varato dal Governo cinese per il sostegno del settore cantieristico ha lo scopo principale di indurre le strutture finanziarie ad aumentare il credito nei confronti degli acquirenti che si rivolgeranno a cantieri di quel Paese, garantendo così la domanda di navi stimolando l’intero settore navale cinese e ciò a detrimento del resto del mondo e dell’Europa in particolare. Il programma prevede, inoltre, l’applicazione di politiche che incoraggino la rottamazione e l’aggiornamento tecnologico delle vecchie navi nonché l’eliminazione delle petroliere a singolo scafo;
      la contrazione della domanda globale è comunque un dato di fatto dal quale non si potrà prescindere nel breve e medio termine per cui l’Europa, che non ha potuto beneficiare di misure di sostegno economico uguali o equivalenti a quelle del sud-est asiatico, si troverà a pagare un prezzo ancora più alto con il rischio di chiusura di molti operatori medio-piccoli e la dismissione di grosse fette azionarie di aziende storiche del settore cantieristico, a favore di operatori asiatici, con ripercussioni negative sull’occupazione e sull’intera economia di Paesi europei che, per motivi geografici, avevano fatto del navale un settore di punta;
      ogni tentativo di creare un polo cantieristico europeo è finora fallito e i pochi grandi gruppi industriali privati europei rimasti sono attualmente incapaci di reggere il confronto con i colossi orientali;
      la stessa Commissione europea, sfavorevole alla costituzione di un’aggregazione tutta europea perché potenzialmente monopolistica e, quindi, contraria ai princìpi di libera concorrenza e di mercato, non ha compreso l’enorme danno che la scalata coreana avrebbe prodotto nel tempo all’industria navale del Vecchio Continente;
      con scarsa lungimiranza i Governi dei singoli Paesi europei che hanno interessi nel settore hanno portato avanti politiche a vario titolo protezionistiche, anziché favorire la collaborazione tra i membri dell’Unione;
      la crisi generale, le aggressive politiche economiche dei Paesi del sud-est asiatico e l’assenza di una strategia comune in Europa sono state le cause principali del progressivo indebolimento dell’industria cantieristica privata europea ed italiana che, solo con i contributi e le agevolazioni concesse in passato, era riuscita in qualche modo a reggere la concorrenza;
mentre i Governi degli altri Paesi europei che hanno interessi nel settore hanno sempre portato avanti politiche a vario titolo protezionistiche, in Italia il settore è stato quasi del tutto abbandonato a se stesso e, esauriti i finanziamenti previsti sino a qualche anno fa, si è assistito ad un blocco quasi totale delle commesse con annullamento di contratti già stipulati o richieste di posticipare le consegne di navi già in costruzione;
      l’Italia finora non ha fatto ancora niente di concreto per sostenere il settore navale, e la cantieristica in particolare, con in più il problema della sopravvivenza di società di Stato, che non hanno più ormai da tempo le caratteristiche per operare nei mercati, e per questo sono nel mirino dell’Unione europea, e che non lasciano spazio alle aziende private;
      come è noto, l’Unione europea ha recepito il principio di neutralità, per cui non esiste alcuna preferenza per il modello privato di gestione dell’impresa (lo stesso articolo 295 (ex art. 222) del Trattato che istituisce la Comunità europea espressamente prevede che: “il presente Trattato lascia del tutto impregiudicato il sistema di proprietà degli Stati membri”);
in molte altre disposizioni comunitarie e soprattutto in vari documenti di carattere programmatico si sostiene con forza il processo di “privatizzazione” delle imprese statali e ciò in quanto queste, per il rapporto privilegiato con il potere statale, si prestano ad essere un fattore di squilibrio delle attività economiche e di mercato;
      per attuare una vera privatizzazione è necessario abbandonare definitivamente le vecchie politiche assistenziali e clientelari che hanno visto applicare l’etichetta di SpA ai colossi della cantieristica e del settore navale italiano, attuando una trasformazione di pura facciata che ha lasciato inalterate, nella sostanza, le strutture che si sarebbero dovute correggere. La conseguenza di questa logica ancora legata a concetti di impresa pubblica è stata che i difetti del sistema economico-concorrenziale, che a livello comunitario si auspica di superare, sono risultati in Italia ancora più accentuati, con ricadute negative sugli investimenti in nuove tecnologie, sulla crescita delle aziende sane e sulla stessa occupazione,
      ritenuto che:
      già dal mese di marzo del 2009 il problema Fincantieri era emerso in tutta la sua portata, a seguito della convocazione del consiglio di amministrazione che si riuniva per esaminare il bilancio dell’anno 2008 e per cercare soluzioni che non rallentassero il processo di privatizzazione. La Fincantieri ha la necessità di essere ricapitalizzata per sostenere il proprio sviluppo e per realizzare quegli interventi che negli ultimi 10 anni non è stata in grado di realizzare. Al di là delle capacità tecniche, che non sono in dubbio, rimane l’incapacità manageriale di capire l’andamento dei mercati ed operare le scelte vincenti, la rinuncia sostanziale a ricerca e innovazione per creare nuove nicchie di mercato, l’incapacità di ottimizzare i costi di produzione (e non solo la riduzione);
      la “Tirrenia” poi dovrà necessariamente operare la cessione delle linee di trasporto marittimo locale con il conseguente problema della collocazione dei lavoratori attualmente impiegati, sopratutto se non si creano nuove opportunità per le aziende private sicché possano assorbire questo personale;
      si avverte la mancanza di una guida politica mirata, in grado di dettare una linea di azione per il futuro. Per vincere la sfida di modernizzazione cui il Paese è chiamato in questo momento e per consentire non solo la sopravvivenza ma addirittura il decollo dell’intero settore navale, occorre infatti modificare la modalità pubblica di approccio e la tipologia di intervento, che deve essere finalizzato al ripristino delle condizioni concorrenziali e, nel breve e medio termine, laddove la libera concorrenza risulti distorta o comunque eccessivamente penalizzante per l’impresa privata e per i lavoratori del settore, ad una redistribuzione dei redditi mediata dal mercato stesso. Ciò soprattutto quando è accertato che questo sistema, così come implementato in Italia soprattutto nel momento di transito dalla cosiddetta “mixed economy” alla cosiddetta “market economy”, ossia all’equa competizione tra soggetti privati a favore del mercato vigilata dal potere pubblico in veste di regolatore, non soddisfa alcuno schema di giustizia sociale;
      alla tendenziale primazia dei princìpi di libera concorrenza, la stessa Unione europea affianca obiettivi di “coesione economica e sociale” e di “solidarietà” nel mercato comune (articolo 2 del Trattato) che hanno una propria forte capacità di connotare le azioni delle istituzioni comunitarie in senso, appunto, redistributivo;
      se si coniugano le varie teorie meta-giuridiche sulla redistribuzione del reddito (Rawls, Welfare, Communitarians) con le tesi di Musgrave sulla modalità di attuazione di tale redistribuzione, secondo il quale lo Stato non deve interferire direttamente sul funzionamento del mercato per perseguire effetti redistributivi, ma deve ripristinare le condizioni di funzionamento del processo concorrenziale, emerge con evidenza la necessità di una specifica tecnica di intervento, volta non a conferire aiuti pubblici indifferenziati, ma a sostenere il mercato affinché lo stesso si orienti da solo verso migliori condizioni di efficienza allocativa. Tutto ciò senza perdere di vista la salvaguardia dell’ambiente, che pure è tra gli obiettivi dell’Unione europea, e le problematiche relative allo sviluppo e alla ricerca;
      occorre rafforzare la ristrutturazione tecnologica, elevare la capacità di innovazione, appoggiare la fusione e le sinergie, promuovendo anche le aggregazioni delle imprese di ogni settore, cantieristico e navale, elevando altresì la capacità di ricerca e creazione di modelli hi-tech;
      occorre portare le aziende esistenti verso livelli qualitativi elevati certificati. In tale contesto la strategia dovrà prevedere due fasi: la prima, a breve termine, con lo scopo di favorire un’immediata inversione di tendenza e dare immediate risposte per mantenere gli attuali livelli occupazionali; la seconda, di più ampio respiro, da spalmarsi in un arco temporale di almeno cinque anni, per creare le fondamenta dello sviluppo strutturale del settore;
      tutto ciò richiede la massima attenzione da parte del mondo politico e deve essere approntato con la massima urgenza, in quanto la crisi nel settore cantieristico e navale, che già impiega migliaia di lavoratori (circa 300.000 compreso l’indotto), si riflette negativamente sull’intera economia nazionale,
      impegna il Governo, anche attraverso il sostegno ai disegni di legge d’iniziativa parlamentare recanti tali finalità, a farsi carico di:
      creare di una commissione ministeriale per lo sviluppo del settore presso il Ministero dello sviluppo economico;
      introdurre misure di agevolazione fiscale o meccanismi similari utilizzati con successo da altri Paesi europei;
      promuovere l’introduzione di un fondo di garanzia con il coinvolgimento del sistema bancario per riportare fiducia e riattivare il sistema del credito;
favorire la ristrutturazione dei cantieri privati che non hanno sufficienti risorse per operare investimenti;
      incentivare gli investimenti in formazione ed in gestione della qualità;
      creare condizioni più favorevoli per riportare gli armatori a costruire in Italia e per aiutare il completo ammodernamento della flotta secondo principi di protezione ambientale, incentivando la demolizione delle vecchie navi a singolo scafo per la sostituzione con unità ecologiche a doppio scafo e riconoscendo e sostenendo l’iniziativa privata, quando investa in nuove tecnologie;
       favorire gli investimenti in formazione manageriale delle imprese;
      incentivare l’armamento alla costruzione di unità per il cabotaggio che, per dimensioni e tipologia, ben si adattano alle potenzialità della cantieristica privata di medie dimensioni;

      riconoscere incentivi per premiare gli armatori che decidano di demolire le navi a singolo scafo, sostituendole con nuove unità a doppio scafo, a patto che la costruzione avvenga in Italia o in Europa.

 
 

 

     

 

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