Sorrento

A proposito di riduzione dei Parlamentari, dei loro stipendi e la crisi grillina

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Come ci ha appassionato il referendum sul taglio del numero dei Parlamentari, così non ci appassiona il dibattito sul taglio dei loro stipendi secondo la vulgata grillina. Proviamo a ragionarci! La riduzione del numero dei Parlamentari era un tema costante al centro del dibattito politico-istituzionale delle principali forze politiche nazionali come la storia politico-parlamentare documenta con numerose iniziative legislative che portano firme di illustri personaggi della politica italiana, di costituzionalisti che hanno puntualmente evidenziato l’assenza di vulnus democratico nella riduzione di uno dei Parlamenti più affollato del mondo. Tant’è che in questa legislatura è stata approvata in forma definitiva la legge con il voto favorevole di tutto il parlamento tranne qualche fisiologica opposizione, comunque irrilevante ai fini dell’entrata in vigore del taglio a partire dalla prossima legislatura che scaturira’ dalle elezioni politiche nel 2023.
Poi lo “sgambetto”: la legge vigente viene impugnata da 71 parlamentari, in gran parte gli stessi che l’hanno votata e, come prescritto dal nostro ordinamento, viene indetto referendum confermativo della legge senza però la necessità di dover conseguire il quorum del 50% + 1 degli elettori.
I due fronti che si sono contrapposti, quello del SI e quelli del NO hanno visto progressivamente schierarsi contro la conferma della legge uno schieramento trasversale di partiti, politici di vecchia data, l’intero sistema mediatico italiano oggi praticamente nelle mani di 5 o 6 gruppi imprenditoriali che stanno giocando pesantemente al massacro contro il governo-Conte e in particolare l’universo grillino propugnatore di una serie di significative riforme osteggiate pesantemente da una nomenclatura trasversale ai settori che tradizionalmente “comandano” in Italia.
Una lotta giocata senza esclusione di colpi, h24, che ha però prodotto la sonora bocciatura referendaria, addirittura con il SI che ha raggiunto una percentuale di circa il 70% dei voti a favore. Una debacle del No che avrebbe dovuto indurre almeno a una “correzione di tiro” il mondo dell’informazione che ha “toppato” alla grande il risultato. Neanche a parlarne! Il fuoco incrociato sul M5S è salito raggiungendo livelli di scontro in qualche caso indecenti, come dimostra la vicenda-Tridico presidente dell’Inps.
Passiamo ora al taglio degli stipendi dei parlamentari, nuova frontiera della politica grillina che necessita, per essere attuata, l’accordo dell’ufficio di Presidenza rispettivamente di Camera e Senato trattandosi di materia disciplinata dai regolamenti di ciascuna Camera.
Questa “battaglia grillina” appassiona molto di meno l’opinione pubblica ed è espressione di una volontà che sta a metà strada tra la giustizia sociale e la demagogia populista.
Lo stipendio dei Parlamentari deve essere dignitoso e rispettoso del ruolo e delle responsabilità che essi rivestono a livello nazionale. Anche il riconoscimento di agevolazioni e benefit non suonino a scandalo purché realmente impiegati ai fini dell’esercizio delle loro attività politico-istituzionali con la produzione semestrale di una rendicontazione. Piuttosto la vigilanza deve riguardare le attività diverse da quelle istituzionali svolte dal parlamentare in carica e che possono essere di varia natura, professionali, imprenditoriali, di investimenti finanziari, originando profitti aggiuntivi che mal si conciliano con i doveri in capo a un “dipendente dello stato” cui viene riservato così un privilegio negato alla stragrande maggioranza dei dipendenti pubblici. Quando ci si candida e si è eletti, la sola retribuzione prevista dalla legge è un diritto, tutto il resto un privilegio con pesanti implicazioni sulla trasparenza sulle altre attività svolte e sui rapporti che si intessono attorno e grazie al ruolo politico e istituzionale svolto.
In secondo luogo la legge dovrebbe seriamente vietare doppi e tripli incarichi elettivi in capo a una stessa persona per i quali si sommano stipendi, indennità e privilegi fermo restando sempre il contorno delle attività libere che ognuno è in grado di svolgere. Questo attraverso il semplice meccanismo per il quale chi è stato eletto parlamentare per potersi candidare alla regione o al parlamento europeo è tenuto preventivamente a rassegnare le dimissioni dalla carica ricoperta piuttosto che avere mani libere e disporre di un salvagente che non lo lascia mai a piedi e falsa lo stesso esito elettorale delle diverse competizioni. Questo produrrebbe nell’immediato un reale rinnovamento anche delle classi dirigenti a tutti i livelli istituzionali con indubbio beneficio sulla qualità del personale politico e soprattutto sulla trasparenza di cui c’è obbligo di garantire il corpo elettorale.
Questa sarebbe una “rivoluzione” qualificante per il Movimento 5 Stelle che in questi anni avrebbe dovuto trarre una lezione importante proprio su questo tema: i compensi parlamentari dei loro eletti è diventata materia caldissima e ha prodotto scontri, espulsioni, instabilità e volatilità dei gruppi grillini. La restituzione di parte dei loro stipendi in favore di iniziative di sviluppo locale o per realizzare un’opera pubblica, ancorché realizzata si è rivelata quasi inutile in termini di “ritorno elettorale”!
La qualcosa lascia indifferente l’opinione pubblica nazionale, ma non sviluppa neanche consenso laddove il denaro è stato restituito. Lo si deduce dai risultati elettorali regionali e locali. Non si conquista così il consenso e si destabilizza la propria rappresentanza parlamentare rendendola suggestionabile agli occhi degli avversari che attingono man bassa ai gruppi garantendo, tra l’altro, la conservazione dello stipendio intero… altro che beneficenza!
Queste “lezioni” nell’universo grillino dovrebbero essere state assimilate producendo anticorpi per non soccombere in uno scontro impari col resto del sistema politico italiano.
A guastare la situazione politico-organizzativa dei 5 Stelle ci si è messo di brutto Alessandro Di Battista che periodicamente riappare sulla scena politica sentendosi legittimato a far saltare il banco guidando la rivolta dell’anima destorsa del Movimeto cui va stretta l’alleanza organica col PD che si sta faticosamente cercando di costruire anche per consolidare un governo messo di fronte a una situazione critica per il riaffacciarsi della pandemia soprattutto in alcune regioni. La disinvolta e spregiudicata iniziativa di Di Battista appare a tutti gli effetti come un’incursione proditoria di un sedicente aspirante leader grillino i cui interessi legati a Casaleggio e a Rousseau si stanno manifestando ai limiti della spudoratezza! Riuscirà il Movimento a non spaccarsi e a non compromettere l’azione governo dovendo lottare su 4 fronti delicatissimi? Eccoli: riorganizzazione e leadership dei 5 Stelle , consolidamento dell’azione di governo per portare a casa qualche altra buona legge, impegno a costruire un’alleanza eletorale strategica in vista delle regionali e amministrative 2021 che rappresenteranno il punto della ripartenza o il collasso del Movimento, elezione del nuovo Presidente della Repubblica. Con un Di Battista “cavallo pazzo” del tutto indifferente rispetto a questi appuntamenti il Movimento rischia davvero l’implosione restituendo istituzioni e paese a chi l’ha distrutto e che non attende altro che questo accada forte anche del sostegno di quasi tutti i media italiani, con Mediaset e Rai omologate di fatto nella proposta televisiva.
Anteporre interessi del Movimento e di alcune sue anime a quelli del Paese oggi che i 5 Stelle sono maggioranza parlamentare e primo partito di governo significa soltanto una cosa: cavallo di Troia per far saltare il banco e aprire le porte al governo sovranista! Ora c’è da capire chi ce l’ha mandato Di Battista, dopo che ha pensato per due anni e mezzo ai fatti propri, a tentare questa operazione proditoria i vui risvolti potrebbero rivelarsi tragici per l’Italia?

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