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“L’elogio della morte” intervista a Raffaele Lauro tratta dal saggio “L’universo amore” di Danzè

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lauro-danzeNel giorno della commemorazione dei defunti, dedicato al sacro culto del ricordo dei propri cari scomparsi, in un sentimento di memore affetto, di pietà cristiana e di riflessione sull’altro tempo della nostra vita (per chi ha fede!), abbiamo chiesto e ottenuto, per gentile concessione della casa editrice GoldenGate Edizioni di pubblicare, in anteprima esclusiva per i nostri lettori, in questa giornata particolare, una suggestiva intervista a Raffaele Lauro sull’elogio della morte, tratta dal saggio critico di Patrizia Danzè dedicato all’opera letteraria dello scrittore sorrentino, dal titolo “L’Universo Amore”, in uscita nel gennaio 2020. L’intervista è preceduta da una pregevole sintesi della Danzè del terzo romanzo della trilogia della vita, “La condanna o l’elogio della morte”, pp. 132, pubblicato da Lauro, nel 1997, con lo pseudonimo di Ralph Lorbeer, per la Lancio Editore di Roma.

TRAMA DEL ROMANZO

Il primo secolo del terzo millennio sta per terminare, è il 2096 quando Milton Crois, ventottenne disegnatore pubblicitario, si ritrova all’ottantaquattresimo piano di un grattacielo dove uno strano usciere lo introduce in un singolare tribunale. Milton non conosce il motivo della convocazione né il meccanismo della selezione, quindi è del tutto incredulo quando il presidente, alla presenza di giurati vecchi e cadenti, gli comunica la sentenza che lo riguarda: è stato prescelto per vivere in eterno. Un privilegio o una condanna? Milton inizialmente crede che sia tutto uno scherzo e perciò interroga i colleghi d’ufficio e, quindi, gli amici della Canottieri Ontario, che potrebbero avergli combinato quella farsa di processo. Per un po’ riprende la vita di sempre insieme a Velma, la sua ragazza con la quale vive intensi incontri sessuali. Ma la curiosità non lo abbandona e qualche mese dopo, attraversando una città ormai ipertecnologica, si dirige verso quel grattacielo dove si trova il tribunale in cui è stato “giudicato”. Il piano è quello, il corridoio anche, la porta pure, ma una bionda impiegata gli dice che dietro quella porta c’è solo una sala per aggiornamenti professionali. Milton sposerà la sua Velma, avrà da lei due figli e nonostante il tempo passi mantiene quell’aspetto giovane che ha sempre spaventato la moglie, avviata con il passare del tempo al naturale decadimento fisico, imbarazzato gli amici che si chiedono quale sia il suo segreto, e inquietato i figli con i quali sembra più un fratello che un padre.

universo amore
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Quando Velma muore, con quella domanda inespressa rimasta nei suoi occhi spaventati, Milton decide di cambiare vita, anche per non turbare ulteriormente i figli: andare via, viaggiare e conoscere quanto più possibile in un mondo diventato sempre più piccolo e stretto, benché consapevole che ci sia ancora da affrontare l’oceano della non-conoscenza. Ma almeno – pensa Milton per mitigare l’angoscia e lo sgomento – potrà farsi interprete sensibile se non del tutto, ma della maggior parte del tutto. Comincia il viaggio. Fra le tante esperienze, ormai che è ultracentenario, vi è quella insieme ad un archeologo che opera nei luoghi delle civiltà precolombiane, e poi ancora la Giamaica, Houston, Filadelfia, l’Australia, una crociera intorno al mondo e, quindi, i giri in astronave attorno alla Terra, divenuti svaghi quotidiani con tanto di soggiorno e cene in hotel volanti. Per Milton, che continua a cambiare identità, è un continuo viaggio nella passione ma anche nella menzogna, perché dovunque sia stato, ad un concerto, ad una mostra, in un casino a giocare d’azzardo, ad una spedizione archeologica o antropologica, su una nave di lusso, ha frequentato letti, ha attratto passioni, ha asciugato lacrime. Ma lui sa che non può fermarsi con nessuno. Tutti coloro che ha conosciuto hanno già riempito gli inceneritori che svettano nelle città perché la tecnologia della morte ha cancellato il culto dei mortie coloro che conosce invecchiano sotto i suoi occhi sempre giovani; nel frattempo il mondo tutt’intorno, il piccolo spazio che ne è rimasto, ha cambiato volto: città trasformate, nazioni scomparse, popolazioni indotte a spostarsi. Intanto Milton che ha imparato le lingue e ha sempre amato la musica, aspira a portare a termine un’opera letterario-filosofica-musicale che sia priva di riferimenti temporali, un poema di cui ha già pubblicato alcuni brani..

Perciò si trasferisce in Germania dove trova auditorium di estrema raffinatezza tecnica nonché maestri dai quali può avere illustri consigli. La sua padronanza del tedesco che sta soppiantando altre lingue lo porta a Berlino, capitale del mondo e della cultura, cerniera accogliente di un Ovest e di un Est che si sono integrati, una metropoli dove la tecnologia ha un volto più umano, mentre altre capitali, New York compresa, sono in decadenza. A Berlino, incontra Frida, una ragazza molto bella laureata in filosofia musicale, con la quale condivide interessi e passioni, e lunghe riflessioni filosofico-musicali-esistenziali. Un giorno, in una libreria, Milton incontra, nel reparto delle incisioni sinfoniche, un signore anziano che gli consiglia di comprare la Messa di Requiem di Mozart, sui cui passaggi egli si sofferma ripensando all’idea di morte. Così, quando una sera, dopo l’immersione nella musica profana di una discoteca ipertecnologica, Frida affronta il tema del futuro, con l’idea di un figlio, Milton capisce di dover chiedere la revoca della sua “condanna”. Ritorna lì dove tutto è iniziato, sulle rive dell’Ontario, alla ricerca di quel tribunale, difficile, certamente, da ritrovare perché col tempo tutto è mutato. Ma c’è una guida cui affidarsi, quel signore di Berlino che gli ha consigliato Mozart e che, stranamente, è lì come ad aspettarlo. E in quel “tribunale” dove finalmente viene pronunciata la parola “morte”, probabilmente la più grande, al cui confronto il privilegio di Milton perde qualsiasi importanza, la revoca viene concessa. Adesso, come gli dice lo sconosciuto che lo ha atteso fuori, ci sarà Frida, la famiglia, la vita e quel che seguirà…. E poi, anche per lui si tratterà solo di aspettare.

INTERVISTA ALL’AUTORE DI PATRIZIA DANZÈ

Professore Lauro, la trilogia viene completata con questo terzo romanzo, sicuramente il più distopico di tutti e tre.

Due sono i famosissimi precedenti letterari di questo romanzo breve, che chiude, con l’elogio della morte, la mia trilogia della vita: il Faust di Wolfgang Goethe, un poema drammatico, il capolavoro, nel quale si racconta del patto tra Faust e Mefistofele, l’anima in cambio dell’immortalità e il loro viaggio alla scoperta dei piaceri del mondo; il Ritratto di Dorian Gray di Oscar Wilde, dove il protagonista, di fronte al proprio ritratto, proclama di voler rinunciare alla propria anima, in cambio dell’eterna giovinezza: gli anni e i suoi peccati compariranno sull’immagine del dipinto, non sul suo volto. Nella mia concezione etico-religiosa ed esistenziale, ho rovesciato il rapporto: un uomo che beneficia, per caso, del privilegio dell’immortalità, dopo quattrocento anni, si rende conto che quel beneficio non è stato un premio, piuttosto una terribile condanna, La condanna, chiede e implora che gli venga restituita la libertà di vivere e di morire. La paura della morte come suprema bellezza della vita. La ricerca dell’immortalità del corpo come una profanazione, una iattura, un peccato mortale, e l’illusione di mantenere la propria bellezza inalterata, attraverso l’eccesso di trucchi estetici, di chirurgia del corpo e di cosmetici, come un’autentica tragedia, una disperazione, una follia, che trasforma, donne e uomini, in mostri viventi, in maschere insignificanti, in zombi. Chi non accetta i segni della vecchiaia, che possono essere certo ingentiliti, ma non travisati, non ama la vita, non ama se stesso. Mia madre, sempre mia madre, definiva gli uomini anziani, con i capelli dipinti, multicolori, irridendoli, le geishe. Cosa pensasse, poi, dei politici, pittati e truccati, lo lascio solo immaginare: “Una cosa è l’eleganza, la classe, il fascino di un uomo pubblico, altra cosa è presentarsi come un fenomeno da baraccone. Come ci si può fidare di simili soggetti?”.

Tanti sono i temi affrontati. La vita e la morte, come nei due precedenti volumi, ma anche la riflessione sull’immortalità, sulla civiltà in rapporto alla tecnologia, sull’ossessione della giovinezza continuata. E, soprattutto, il tema del tempo.

Il recupero del senso della morte, e non la sua continua esorcizzazione, è un passo obbligato per la salvezza dell’uomo del terzo millennio e per il ritrovamento della speranza nel trascendente. La scienza e la tecnologia, sul punto, rappresentano una fallace illusione. Aiuteranno a curare le malattie, certo; ad alleviare il dolore, sicuro; a migliorare le condizioni di vita dell’uomo, possibile. Perderanno, tuttavia, la sfida sul mistero della morte, che andrà custodito come sacro, vissuto, amato e non precipitato nell’oblio e annichilito nel tripudio vitalistico della dimensione virtuale, sempre più invasiva. La paura della morte deve essere una costante della propria vita. Questa paura non può non esserci: se manca, non c’è autenticità della propria vita. L’uomo, se riesce ad interiorizzare la propria morte, se ne impossessa come senso vitale, come celebrazione della vita. In questi termini, vive positivamente anche il rapporto con il tempo, con il suo tempo! Questo è il succo filosofico del mio romanzo“.

E, ovviamente, la riflessione sui rapporti umani. Sembrano scomparsi i sentimenti, si parla solo di incontri, di scambi…È quello che dobbiamo attenderci?

Se verrà sempre più stravolto e manipolato, con il dominio digitale, il privilegio dell’eros, il vero dono divino, e, con esso, i sentimenti che legano affettivamente le persone, di qualsiasi genere sessuale siano, l’umanità, a partire dal mondo occidentale, negherà la stessa fonte vitale della vita umana, lo spirito vitalistico che ha salvato finora il mondo. Allora il passo verso l’autodistruzione non sarà lontano“.

Cosa ha voluto rappresentare con Milton? L’umanità del terzo millennio?

Il rischio attira molto Milton, forse perché la sua immortalità non gliene fa correre. Perciò è attirato dal gioco d’azzardo, dalla natura pericolosa, dalle imprese spaziali peraltro diventate regolari. E tuttavia Milton, se non alla fine, evita il rischio della “normalità”.

Milton, disegnatore pubblicitario, a ventotto anni, nel 2096, si vede condannato, da uno strano tribunale, a vivere in eterno. Incredulo prima e poi sempre più consapevole dello straordinario privilegio che gli è toccato, Milton, in uno scenario avveniristico, si abbandona ad una esistenza dedita all’amore e alla bellezza, nella natura e nell’arte. Il tempo passa e quando la moglie e gli amici gli premuoiono, è costretto a fuggire e a crearsi continuamente nuove relazioni e amicizie. L’angoscia è in agguato. Come una lumaca, Milton si trascina dietro il fardello sempre più ingombrante delle sue memorie. Rasenta la follia. Gli appare sempre più chiaro che quella sentenza non è stata un premio, ancorché immeritato, ma una vera condanna. La sua vita, divenuta eterna per decreto, manca del sale dell’esistenza, cioè la paura della morte. L’ascolto della Messa di Requiem di Mozart accelera la crisi: così decide, con l’aiuto di un provvidenziale e singolare angelo custode, di chiedere al tribunale la revoca della condanna. Questa gli verrà concessa, dopo che Milton Crois avrà fatto un elogio della morte, intesa come intrinseco momento della vita. La vicenda di Milton rappresenta una metafora, un monito per l’umanità del terzo millennio: esorcizzare la morte significa non vivere una esistenza autentica, consapevole e responsabile, una minaccia che peserà sempre più sulle future generazioni”.

Nel mondo ipertecnologico percorso da Milton, si parla di Berlino come di una metropoli che ha perso il suo carattere marziale per diventare una capitale aperta, umana, tecnologica ma ancora a misura d’uomo. Perché proprio Berlino, quasi dieci anni dopo, rispetto all’anno di pubblicazione del volume, la caduta del Muro?

Perché Berlino è la capitale che ho sempre amato, più di Londra o di Parigi, rimasta sempre libertaria, nonostante la tragica parentesi hitleriana e la divisione del secondo dopoguerra. Fino al 1989! Quella notte scrissi, di fronte alle immagini della caduta del muro, un racconto dal titolo I colori della libertà, pubblicato su una rivista tedesca, mentre ascoltavo “Futura” di Dalla, scritta da Lucio proprio a Berlino, di fronte al quel muro. Un inno alla vita, alla speranza e alla libertà. Lo regalai al ministro dell’Interno della Germania riunificata, nel 1991, Wolfgang Schäuble, nel corso di un incontro bilaterale con il ministro Scotti, di cui ero capo di Gabinetto al Viminale, nella capitale della Germania riunificata. Ero e sono un ammiratore senza riserva di Schäuble, il quale era stato colpito da un attentato, l’anno prima, e da allora ha continuato la sua brillante carriera politica su una sedia a rotelle. Quella sera, a cena, discutemmo non solo dei colori della libertà, ma anche di Sorrento, la mia città. Mi chiese, all’improvviso, di parlargli della mia città, dove aveva soggiornato da giovane e che amava sempre ricordare. Naturalmente Scotti, da sorrentino di adozione, mi diede man forte”.

Al contrario, anche questo volume è ambientato come gli altri, nel Nordamerica.

Ho voluto collocare le origini del protagonista in una realtà avveniristica, dove la convivenza, tra nazioni e culture diverse, viene resa emblematicamente dal suo nome, Milton, e dal suo cognome, Crois“.

Professore, Lei è appassionato di questioni scientifiche. Qual è la Sua idea del tempo? E come vede il rapporto uomo-tecnologia?

Ho diretto per sette anni un’importante rivista scientifica delle Poste&Telecomunicazioni, da cui poi scaturì il mio lavoro di giornalista sulle nuove tecnologie della comunicazione, pubblicato su due rubriche di quotidiani nazionali: Il Tempo e Il Mattino. Ho imparato tanto a contatto con dei grandi scienziati. Ho appreso in anticipo tutti gli sviluppi successivi dei nuovi media: la rivoluzione digitale, dai pc ai cellulari, alla posta elettronica. Non ho mai mollato, tuttavia, la mia visione filosofica della realtà, della scienza e del progresso tecnologico. Nonostante questi trascorsi, la filosofia della scienza non ha soppiantato la mia formazione storicistica e crociana delle origini. La vita dello Spirito. L’uomo contemporaneo potrà avvalersi positivamente del progresso tecnologico fino a quando ne manterrà il controllo. Altrimenti ne sarà controllato, dominato e distrutto. La mia idea del tempo è senza tempo, perché, da Teofrasto ad Einstein, filosofi, scienziati, dottori della chiesa e intellettuali, anche da strapazzo, hanno tentato di dare una definizione del tempo e la ricerca continuerà ancora a lungo. Definizioni geniali o ridicole. Non ne posso utilizzare alcuna. Niente è più soggettivo che la propria idea del tempo, che pur misurato da un orologio, dal sole o dalla luna, rimane una dimensione della propria vita. Il tempo è la vita, la mia vita, che attraversa ogni mia esperienza, la veglia, il sonno, le preghiere, i sogni, le speranze, i timori, le paure, le angosce, il sesso, la gioia, le illusioni e, soprattutto, l’amore. Il tempo della propria vita trova il suo segno, il suo stigma, il suo significato assoluto nell’amore e nella capacità di amare gli altri, gli animali e la Natura. L’Universo Amore. Il resto è polvere. La gloria, il potere, la ricchezza, la fama: polvere che non lascia traccia“.

Una curiosità ancora. Ralph Lorbeer, lo pseudonimo, del resto facilmente decifrabile, accomuna la trilogia. Un vezzo? Mi pare che in seguito, riappariranno, dopo Mutus, in cui si mantiene Ralph Lorbeer, sempre il nome e il cognome reali.

Vero! Un tentativo inutile di mascheramento, Ralph Lorbeer, cioè Raffaele Lauro in tedesco. Un compromesso tra me e l’editore, l’amico Michele Mercurio, per la pubblicazione della trilogia, pubblicata e distribuita insieme con Playboy, edizione italiana, che verrà utilizzato anche per il successivo Mutus o della libertà, edito anch’esso dalla Lancio. Forse, inconsciamente, è stato anche un vezzo germanofilo!“.

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