Italia,  Piano di Sorrento

La morte di Ciro Cirillo seppellisce anche i segreti inconfessabili degli anni 80-90… Forse però…

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cirillo-brAlla veneranda età di 96 anni è scomparso Ciro Cirillo, potente assessore regionale della DC, che fu rapito dalle Brigate Rosse nel 1981 e poi rilasciato probabilmente a seguito della mediazione tra politica, servizi segreti e camorra cutoliana. Di pagine in tal senso ne sono state scritte tante, ma la verità sul rapimento e sulla trattativa Cirillo la porta con sè nella tomba. A Peppino D’Avanzo di Repubblica rivelò che quella verità era così grave da non poter essere svelata all’opinione pubblica italiana. Praticamente le stesse parole del boss Raffaele Cutolo rinchiuso in carcere e che ogni tanto manda segnali su sue possibili rivelazioni  rivolgendosi a dei misteriosi interlocutori.

cirilloCirillo ha più volte affermato di aver redatto un memoriale e di averlo affidato al suo notaio che, dopo la sua morte, l’avrebbe reso pubblico. E’ praticamente certo che ciò non avverrà secondo la regola vigente nel sistema-Italia, schema che si è riproposto, più recenetemente, con la “trattativa Stato-Mafia” sugli assassini di Falcone e Borsellino i cui atti, che chiamavano in causa anche l’ex Capo dello Stato Giorgio Napolitano, sono stati prima secretati e poi addirittura distrutti. Quegli anni e la vicenda Cirillo, però, l’abbiamo in un certo modo vissuta di riflesso a Piano di Sorrento che vantava una classe politica democristiana di primo piano, quella corrente dorotea di Antonio Gava di cui Ciro Cirillo era una figura di primo piano, ma che annoverava tra i fedelissimi in Penisola Sorrentina personaggi come l’ex sottosegretario alle poste Raffaele Russo, il suo braccio politico Francesco Casa e il sindaco-imprenditore Antonino Gargiulo, tutti di Piano di Sorrento.

Della cabina di regia dorotea faceva parte un altro big scudocrociato come l’ex senatore gragnanese Francesco Patriarca, senza dimenticare altri due potenti e autorevoli esponenti Dc dell’epoca: l’ex assessore regionale Armando De Rosa di Vico Equense e l’ex sindaco di Sorrento Antonino Cuomo. All’epoca vivevamo le nostre prime esperienze politiche nel Movimento Giovanile della DC a Piano di Sorrento, cioè in un’organizzazione partitica autorevole proprio in virtù dei personaggi che ne tiravano le fila dalla Costiera a Roma. Il rapimento Cirillo colpì al cuore il sistema democristiano-doroteo e si racconta che sul pagamento del riscatto anche Piano di Sorrento e la Penisola fecero la propria parte. Ne hanno chiaramente memoria gli ottantenni viventi di quella stagione che, sempre a Piano di Sorrento, erano esponenti di vertice dell’Amministrazione Comunale anche se non tutti aderenti alla corrente dorotea. Figure politiche di primo e secondo piano della Penisola Sorrentina sono state testimoni, ma anche co-attori, di vicende che restano un mistero, nonostante gli anni trascorsi, e che forse lo resteranno per sempre. Oggi c’è una persona che, per i ruoli istituzionali e per le altre responsabilità ricoperte nel corso degli anni, potrebbe scrivere a pieno titolo queste pagine consegnando a futura memoria questo pezzo della storia d’Italia degli anni 80/90 che abbiamo il diritto di conoscere per il bene del nostro Paese: Raffaele Lauro.                                                                                                                                                                    ViC

Gentile Direttore,
al fine di evitare che la fantasia dei lettori galoppi oltre ogni verificabile realtà, desidero precisare che ignoravo del tutto, come ignoro tuttora, le vicende, non note, che portarono al rapimento, alla prigionia e alla liberazione dell’assessore regionale della Campania, Ciro Cirillo, esponente politico della Democrazia Cristiana, avvenute nell’estate del 1981. All’epoca, infatti, ero un amministratore locale, a Sorrento, legato politicamente all’onorevole Francesco Compagna, sottosegretario di Stato alla Presidenza del Consiglio dei Ministri, scomparso prematuramente, a Capri, nel luglio del 1982. Negli anni successivi, inoltre, nel corso della mia collaborazione istituzionale, come capo della segreteria del ministro delle Poste e delle Telecomunicazioni (dal 1985), del ministro delle Finanze (dal 1987) e del ministro dell’Interno (dal 1988 fino al 1990, anno delle dimissioni del ministro per ragioni di salute), Antonio Gava, né come capo di Gabinetto (1991-1993) dei ministri dell’Interno, Vincenzo Scotti e Nicola Mancino, in nessuna occasione ebbi modo di occuparmi, per ragioni di ufficio o politiche, delle citate vicende, ad eccezione delle notizie di fonte giornalistica o giudiziaria, a tutti accessibili. Le sarei grato, se volesse pubblicare, in calce alla riflessione sul caso trattato, questa mia doverosa precisazione, non avendo altro da aggiungere sull’argomento.
Raffaele Lauro

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